“I Promessi Sposi sono un romanzo perfetto. Manzoni lo ha scritto con una cura pari solo a quella che aveva Flaubert. A mio avviso è il più importante romanzo scritto in Europa nell’Ottocento. Purtroppo in Italia attorno a Manzoni c’è un’impalcatura retorica che l’ha imbalsamato, mentre negli Stati Uniti, almeno fino ad oggi, I Promessi Sposi figurano tra i libri che consigliano di leggere, ma i più lo conoscono solo come titolo. Con questo mio lavoro mi sono posto l’obiettivo accrescerne la diffusione. E le critiche e le recensioni che ho sin qui avuto, oltre il successo in termini di copie, stanno confermando il mio proposito”.
Ad affermarlo è l’italianista Michael F. Moore, autore di “The Betrothed”, la nuova edizione statunitense in lingua inglese de “I Promessi Sposi”, stato ospite ieri a Villa Manzoni dell’incontro “Una storia così bella”, nell’ambito della rassegna “Una città per Manzoni”, che l’Assessorato alla Cultura dell’Amministrazione comunale di Lecco e il Sistema Museale Lecchese hanno organizzato da maggio a novembre per celebrare i 150 anni della morte del grande scrittore che ha reso celebre la città di Lecco ambientandovi il suo romanzo. A dialogare con lui la filologa Paola Italia(Università di Bologna) e il Direttore scientifico del Museo Manzoniano Mauro Rossetto.
Una giornata, quella trascorsa a Lecco, che, come lui stesso ha sottolineato “ha rappresentato una grande emozione, perché è stata la mia prima volta nella città dove I Promessi Sposi sono stati ambientati”. E, proprio in segno di gratitudine, ha voluto donare una copia autografa del suo lavoro al Museo Manzoniano: “Un grande onore - ha sottolineato l’Assessore alla cultura Simona Piazza - perché, se da un lato dimostra come il nostro Museo è vivo e si rinnova costantemente con acquisizioni e donazioni, dall’altro “The Betrothed” rappresenta una grande opportunità per divulgare la conoscenza dell’opera di Manzoni e testimoniarne il suo valore e la sua attualità in una lingua che è certamente tra le più note e diffuse nel mondo”.
Che questa traduzione abbia un’importanza fondamentale, l’ha evidenziato la stessa Paola Italia: “Quest’opera segna un vero e proprio spartiacque nella diffusione internazionale della conoscenza de I Promessi Sposi”. E ciò grazie soprattutto al lavoro decennale meticoloso condotto da Moore per essere al contempo fedele negli aspetti linguistici e di contenuto all’eredità manzoniana, evitando di saltare come molti altri traduttori nei secoli hanno fatto intere parti o di sintetizzarne altre, e capace di declinare le lingue varie e complesse che compongono i diversi romanzi di cui I Promessi Sposi sono fatti. “A spingermi a questo lavoro potrei dire sono state molteplici ragioni di tipo accademico. - ha ricordato Moore - In realtà ci vuole passione e follia per cimentarsi in una sfida così”.
L’italianista ha quindi raccontato l’esperienza di “incontro quotidiano” con il Manzoni che l’ha accompagnato ogni giorno per oltre dieci anni, gli strumenti di lavoro che ha utilizzato, la scelta di scrivere a penna “perché era come fosse un pennello e mi aiutava a far fluire il pensiero, mentre da Bellagio ammiravo il paesaggio del lago”. Dieci anni di cui la maggior parte trascorsi “più a riscrivere che a tradurre”, un po’ come lo stesso Manzoni fece con il suo romanzo, dopo la prima stesura del 1827. E sera suo dire, i capitoli 24 e 25 dedicati alla vita del Cardinal Borromeo sono stati i più difficili, i momenti già lirici sono stati quelli che gli hanno dato maggior piacere: come “L’Addio ai monti” o l’incipit, che ha letto durante la serata con grande poesia. Un aspetto a cui Moore ha dedicato particolare attenzione sono stati i dialoghi: “Dovevo far sì - ha spiegato - che i personaggi parlassero in modo da sembrare vivi e reali, come aveva fatto Manzoni. Per far ciò, ho dovuto lavorare con l’immaginazione, cercando di dare a ciascun personaggio una identità che mi richiamasse qualcuno che conoscevo”. Come, ad esempio, Fra Galdino, che non poteva che essere per Moore un tipico irlandese, chiacchierone e affabile. “Inoltre dovevano usare vocaboli moderni, ma non contemporanei”. E, ad aiutarlo, è stato uno delle molteplici professioni a cui si è dedicato nella sua vita di traduttore, quello della scrittura dei sottotitoli dei film.
Insomma, come recita il titolo della serata, “una storia così bella” che sarebbe assurdo cancellare dagli argomenti di studio, come una recente discussione ha proposto: “Se esiste oggi una lingua italiana - ha affermato Paola Italia - il merito è di Manzoni e del suo romanzo”. E Moore, come sottolineato da Mauro Rossetto, “è riuscito nel suo lavoro a rendere quella lingua quotidiana a cui Manzoni ha teso nella scelta di riscrivere, dal 1827 al 1840, il suo capolavoro”. Un merito al quale si aggiunge, sempre a detta di Rossetto, quello di “una valorizzazione internazionale di Lecco, come luogo di turismo letterario”.
Ma l’attualità di Manzoni non è solo una questione linguistica, quanto anche del messaggio che lo scrittore ci fa giungere. Un messaggio che parla di “provvidenza, di speranza e di perdono, che è quanto di più il mondo oggi ha bisogno”, come Papa Francesco ha scritto allo stesso Moore in una lettera personale in cui lo ha ringraziato per il suo lavoro.
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