Lorenzo Morandotti - Un libro fondamentale e necessario, soprattutto oggi. Come visse il Lario, strategica area di frontiera con la neutrale Svizzera, sotto l’estremo giogo della dittatura nazifascista, incarnato nella famigerata Repubblica di Salò, mentre si organizzava la Resistenza partigiana sul territorio? Gli ultimi tempi dei comaschi obbligati fino alla Liberazione a deportazioni, repressioni, censure, retorica in camicia nera, sono raccontati con dovizia di particolari grazie agli sforzi durati oltre due anni di due storici di lungo corso, Rosaria Marchesi e Fabio Cani, nel libro edito da Nodo Lo specchio rotto. Giornalismo, narrazioni e documenti durante la Repubblica Sociale Italiana e la Resistenza nel Comasco pubblicato sotto l’egida dell’Istituto di Storia Contemporanea “Perretta” (pp. 500, 25 euro). Si parte dalla constatazione che un giornale è specchio della società e della storia. Campo base della ricerca è la collezione 1943-1945 del quotidiano “La Provincia” dalla “prima” caduta del fascismo seguita alla votazione nella riunione del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 fino al periodo che dall’armistizio dell’8 settembre arriva alla definitiva caduta del fascismo. Ed emergono innumerevoli e spesso raccapriccianti prove di quanto la stampa fosse usata - e in parte purtroppo lo è tuttora - come macchina di propaganda ideologica.
Tra le pagine più note la vicenda di Giancarlo Puecher, la cui condanna (“cronaca di una morte obbligata” recita il titolo alla Gabriel Garcia Marquez del capitolo che lo descrive) è già scritta nell’episodio che portò al suo sacrificio, ossia l’uccisione dei fascisti Angelo Pozzoli e Ugo Pontiggia a Erba nel 1943. Sotto i riflettori di Marchesi e Cani c’è anche la vicenda dell’avvocato d’ufficio di Puecher, Gianfranco Beltramini. Un militare, quindi un fascista, che racconta cose raccapriccianti a proposito di questo processo che da subito sostiene non può stare in piedi. Il processo viene istituito immediatamente dopo l’uccisione di un altro fascista, Germano Frigerio: a quel punto per i fascisti la misura è piena e sono convinti che un tribunale abborracciato possa dare parvenza di legalità ai loro disegni. Puecher è il capro espiatorio perfetto ma la sua morte crea subito problemi ai fascisti. “A Erba è forte un sentimento di sdegno – si legge nel libro di Cani e Marchesi - che si traduce in piccoli ma significativi gesti di pietà, che si trasformano, a loro volta, in disobbedienza civile: sul luogo della sua fucilazione continuano a comparire fiori. I fascisti pensano di usare il giornale per correre ai ripari, per arginare o tentare di arginare i moti di simpatia, e quindi cercare di infangare la memoria di Puecher. L’obiettivo è screditare la sua figura e la sua memoria”.
La mattina dopo l’uccisione di Puecher arriva da Milano la notizia che l’insediamento del tribunale non è valido. Beltramini, che fece di tutto per scongiurare il peggio a Puecher, riferisce il pensiero tranchant del duro prefetto dell’epoca, Franco Scassellati Sforzolini: “Disse che il popolo va trattato a scudisciate sulla faccia”.
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