Saper riconoscere il conflitto e imparare a gestirlo: dal dolore può nascere la speranza.
“Il conflitto fa parte di noi stessi. Non dobbiamo averne paura. L’importante e riconoscerlo e imparare a gestirlo”: così Stefano Cappoli, presidente del Lions Club Lecco San Nicolò, ha efficacemente sintetizzato la straordinaria testimonianza di Franco Vaccari, presidente e fondatore dell’associazione internazionale Rondine Cittadella della Pace, impegnata dal 1998 nella trasformazione creativa dei conflitti per generare un cambiamento nelle relazioni, che ha animato l’interclub svoltosi ieri presso l’NH Hotel alla presenza di 130 soci di otto diversi Lions Club del territorio (Lecco San Nicolò, Lecco Host, Merate, Erba, Brianza Laghi, Brianza Colli, Val San Martino e Valsassina).
Ad unire così tante persone - e con loro i rappresentanti dell’Ufficio scolastico provinciale di Lecco e di numerose scuole come il Leopardi, il Manzoni, l’IMA, il Medardo Rosso, il Collegio Volta, l’Istituto Rota, il Liceo artistico di Cantù, l’Istituto comprensivo di Bosisio-Merone e la secondaria di primo grado di Albavilla - il racconto di un’esperienza vibrante, attualissima, capace di generare speranza in un mondo come il nostro in cui il conflitto si esaspera con il nemico e sfocia in guerra: “Da oltre 25 anni - ha raccontato Vaccari - ci prendiamo cura del dolore, ospitando giovani futuri leader che vivono il dolore della guerra ma non si arrendono e accettano di condividere uno o più anni della loro vita nello stesso spazio con i loro nemici: Serbi e Bosniaci, Ebrei e Palestinesi, Turchi e Siriani, oggi Russi e Ucraini. E attraverso questa convivenza , 24 ore al giorno, sono costretti a superare l’indifferenza verso l’altro, l’odio verso colui o colei che la storia ha fatto diventare nemico, e a scoprirsi uguali”.
Perché il nemico, in realtà, non esiste: “È un inganno, - ha spiegato Vaccari - una distorsione. Mentre il conflitto è naturale, innato nell’uomo: è lotta, impegno. La guerra invece è organizzazione della violenza e va smascherata, va eliminata. Ciò è possibile solo se ci prendiamo cura delle relazioni fra le persone. A Rondine noi ci prendiamo cura delle persone: non è un’oasi felice, perché ogni giorno qui viviamo l’eco di tutte le guerre del mondo. È immersa nella profondità della storia, ma al tempo stesso è un ambiente che funge da facilitatore delle relazioni”.
Di qui l’idea di esportare il “modello Rondine”: quest’anno sono 13 le “sezioni Rondine” che sono nate in altrettante scuole d’Italia, e altre 13 ne partiranno con il nuovo anno: “Il nostro è un metodo che vogliamo proporre alle scuole e, dovunque lo abbiamo portato, sta ottenendo un grande successo perché aiuta chi lo pratica a ritrovare il cuore stesso della scuola, che è un insegnante che ha passione per i propri alunni e, attraverso una disciplina attiva questa passione, aiutando i suoi alunni a vivere il conflitto, ad abitarlo e a gestirlo. La scuola così piò tornare ad essere il luogo del rispetto dell’altro”.
Lo hanno testimoniato anche due giovani ex alunni della Quarta Rondine, Luca e Nicola, che hanno raccontato il valore che ha rappresentato l’anno trascorso in questo piccolo borgo in provincia di Arezzo. Ma soprattutto a Rondine oggi sono due ragazze lecchesi che qui stanno vivendo una straordinaria avventura. Esse sono l’emblema degli adolescenti che hanno sperimentato le devastanti conseguenze psicologiche della stagione del Covid. Lo ha raccontato la psicologa Roberta Invernizzi: “A giugno 2021 83 mila ragazzi delle scuole superiori italiane vengono bocciati per numero di assenza, di cui 63 mila della scuola secondaria di primo grado. A questi si aggiungono gli studenti formalmente ritirati durante l’anno scolastico”, ha spiegato. Numeri impressionanti che evidenziano uno “scenario di blocchi importanti rispetto ai compiti evolutivi, fatica a vivere la scuola, non capire come riprendersela stando dietro a uno schermo, e tanti ragazzi ricoverati in pronto soccorso per diverse forme di attacco al corpo e per disturbi d’ansia legati alla scuola”. Per aiutare le due ragazze lecchesi ad affrontare il disagio che vivevano, Roberta Invernizzi decide di mettersi in contatto con Rondine, per trovare qui “un’esperienza generativa e trasformativa”, che sapesse prendersi cura di loro a partire dal dolore. La proposta di sostegno viene accolta dall’Associazione Patrizia Funes che la condivide con l’Università della Terza Età. “Oggi stanno vivendo questa esperienza a Rondine: un’esperienza che sa trasformare i conflitti e dare speranza ai nostri adolescenti e al mondo che andranno a costruire”.
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