Fino al fine mese Alina Rizzi espone a Canzo la sua personale "Wunderkammer" allo Spazio Incontri Raverta presso l'ex Serra del parco Barni. Ecco il mondo di Alina in una intervista a cura di Serena Rossi. Alina Rizzi, da quanto tempo oltre alla parola scritta unisci la tua vena poetica in arte?
Da più di quindici anni direi. La mia prima piccola mostra di collage fu a Como nel 2006.
Si potrebbe dire che tanto la poesia segue una via onirica quanto la tua arte visiva spesso diventa materiale e di denuncia, o provocatoria.
In realtà io resto sempre molto agganciata alla realtà, al contingente, alla vita vissuta. Sia in poesia che nell’arte visiva. In quest’ultimo campo sicuramente è più identificabile il progetto di denuncia contro l’oppressione della donna, nel passato ma anche nel presente.
Le gabbie ricordano oppressione, svilimento, mancanza di libertà, servono come denuncia sociale?
Sicuramente sì. Purtroppo vedo donne in gabbia ovunque, anche nei paesi più moderni, nel mondo occidentale. Vedo donne ingabbiate dalla famiglia, dalla mancanza di lavoro, da maternità poco assistite, dalla violenza maschile, dalla discriminazione di genere in ambito professionale e artistico. In altri Paesi del mondo la sopraffazione del genere femminile è addirittura a livelli intollerabili, ma per lo più ignorata.
I visi delle donne che dipingi spesso mancano di elementi di contorno o di felicità. Remissione di sogni e sottomissione femminile: è questo che denunci nella nostra società ancora lontana dalla parità dei sessi?
Sì, come ti dicevo, è persino difficile sognare un futuro diverso quando il presente è così costretto. La felicità non è un elemento che fa parte della mia ricerca. Non è difficile condividere la felicità. Al contrario, è l’infelicità che porta all’isolamento o anche all’autoesclusione.
Come colleghi la tua attività di giornalista con quella artistica? Sembra quasi che dai tuoi testi di giornalista tu parta con la denuncia, poi in pittura, riesamini le tue interviste e approfondisci i temi. Dal giornalismo trovi spunti nuovi?
Dal giornalismo di cronaca, sì. E anche dalle innumerevoli interviste che ho fatto, nel corso degli anni, a donne vittime di soprusi, violenza domestica, psicologica e fisica.
Tu hai iniziato scrivendo testi erotici tanto belli che Tinto Brass ne usò uno per un suo film, questa vena erotica si è spenta?
Quando ho pubblicato il mio primo romanzo, “Amare Leon”, nel 1998, poi diventato l’ultimo film di Tinto Brass, col titolo “Monamour”, l’erotismo femminile era ancora un tema difficile in Italia. Si traducevano romanzi inglesi, ma nessuna scrittrice italiana pubblicava col suo nome storie erotiche. Io fui tra le prime a metterci la faccia. Volevo raccontare l’erotismo dal punto di vista femminile, era un mio diritto e non avevo problemi a rivendicarlo. In seguito l’argomento é stato tanto inflazionato che era quasi di moda. Non mi interessava più, non lo trovavo più utile. C’erano altri tabù da affrontare, per esempio quello della maternità che ancora veniva rappresentata in modo edulcorato, come sicura fonte di gioia, nascondendo problemi e insicurezze ad essa legati.
Come credi che andrà avanti la nostra società nei confronti della donna? Recenti studi futuristi dichiarano che avremo la parità nel 2157. Ti sembra possibile, con riferimento a paesi come India o Cina, dove la donna socialmente è sottomessa, o come nei paesi mussulmani.
Non ho idea se e quando si raggiungerà una parità di genere, sicuramente non in tempi brevi, se rileviamo l’inversione di tendenza degli ultimi anni. Il tentativo di riportare l’aborto nell’illegalità, per esempio, ci fa arretrare di 50 anni. Le donne che oggi tornano a dover indossare in burqa, in Afghanistan, è inaccettabile. Le donne devono opporsi, ognuna coi mezzi che ha a disposizione, perché non è certo da chi sfrutta il patriarcato che ci verrà un aiuto.
E la tua grandissima opera di Curatrice della Coperta delle Donne, che unisce mille voci al femminile, come procede? In Italia viene considerata oppure sarebbe meglio farla conoscere all'estero, dove c'è maggiore interesse al lavoro femminile?
In Italia è sempre stata accolta con entusiasmo dalle persone, durante le numerose esposizioni e anche a Mosca. Ma ignorata dal mondo dell’arte o della più specifica fiber art. Sarebbe bello farla viaggiare ancora, ma non è semplicissimo: le dimensioni sono ragguardevoli, 7 metri per 3, quindi servono strutture in grado di ospitarla. Ma sarebbe già un traguardo vederla esposta in modo permanente in un luogo in cui sia apprezzabile da chiunque.
La tua poesia si unisce mai al lavoro artistico visivo con ibridi di poesia visiva?
Sì, è capitato. La poesia a volte si è estesa nell’arte visiva, quasi compenetrandosi. Se la suggestione è forte, ho bisogno di esprimerla con tecniche diverse e in più varianti.
Sono curiosa di vedere questi nuovi lavori di collage, e sono anche rimasta affascinata dal tuo nuovo approccio alla carta naturale indiana. Sono i materiali a trascinarti e ad incuriosirti per le tue ricerche?
I collage sono una passione che risale all’inizio del mio lavoro artistico e che ho coltivato negli anni con supporti diversi. La carta fatta a mano, che sia italiana, se la trovo, ma soprattutto indiana, mi procura una sensazione tattile bellissima che mi invoglia sempre ad unire il mio lavoro a quello di chi l’ha realizzata, in un ideale costruzione a quattro mani. I materiali sono comunque grande fonte di ispirazione e spesso i collage virano in assemblage di oggetti riciclati
Nella vita come nel sogno auspichi che tutte le donne possano vivere liberamente la loro vita di sentimento, o solamente di libera azione?
Non vedo come le cose possano essere scinte. Una donna libera di essere chi desidera essere si comporterà come crede in ogni ambito.
Spesso nelle tue gabbie artistiche rappresenti donne famose in letteratura e arte, come la geniale Emily Dickinson. Sono per te un esempio?
Sono le mie Grandi Madri. Le mie eroine. Quelle da cui prendere esempio, ma soprattutto trarre la forza di continuare il mio lavoro e coltivare la mia ricerca, a dispetto delle limitazioni pratiche e delle chiusure esterne.
Grazie a nome di tutti, perchè con il tuo lavoro artistico, poetico e giornalistico, riporti al centro la disparità tra i sessi, spesso ancora ignorata, e ci attrai in mondi inesplorati di emozioni vive. Con la frase di Emily, “Prima di amare, io non ho mai vissuto pienamente”, ti auguro di vivere appieno i tuoi sogni di donna e artista. Evviva la libertà, evviva la cultura.
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