Nella bibliografia canturina un ruolo essenziale hanno i volumi dedicati alla filiera del legno arredo e in particolare il recente libro di Tiziano Casartelli, Cantù e il mobile. Dal gusto classico al design, Canturium edizioni, 2019. La pubblicazione di questo volume aggiunge un nuovo capitolo alla ricostruzione delle vicende legate alla fabbricazione del mobile a Cantù, e in Brianza, iniziata nel 2015 con la mostra Il nome di Cantù e proseguita nei due anni successivi con l’uscita dei volumi La Selettiva del Mobile. 1955-1975 e Gio Ponti e Cantù. Design e artigianto del mobile dalla Rinascente alla Selettiva. Mentre, però, i due volumi analizzavano fatti e momenti specifici, questo studio ricostruisce per intero la storia del distretto canturino del mobile, a partire dalla metà del XIX secolo sino ai primi anni del nuovo millennio. Centocinquata anni di storia che hanno visto la sua progressiva affermazione sino al conseguimento, nel periodo compreso tra gli anni venti e gli anni sessata del secolo scorso, di una riconosciuta egemonia sugli altri centri produttivi del mobile in Italia. Un binomio, quello di Cantù-mobile, che per buona parte del secolo scorso ha avuto una risonanza a livello internazionale. Un settore che se da una parte si è confrontato con le tendenze più avanzate del gusto, della moda e del design, dall’altra non ha rinunciato a una tradizione di altissimo livello in grado di riproporre perfetti modelli di ispirazione classica, ma che inevitabilmente è arrivato a sfiorare il più bieco anacronismo. Il passaggio cruciale ha avuto luogo all’indomani della stagione della Selettiva, quanto il mobile in stile è stato gradualmente sostituito da un arredo di gusto contemporaneo, senza però che questa tendenza sia mai riuscire a predominare in modo definitivo sul mobile di tradizione.
In questa doppia anima del settore canturino del mobile non sono mai venute meno, da una parte, l’etica del lavoro che ha sempre posto innanzi alle questioni di natura estetica l’affidabilità e la solidità dei suoi prodotti, dall’altra la capacità a rispondere le richieste più complesse provenienti dal mercato.
Nel corso degli anni Settanta, spiega Casartelli, le realizzazioni su misura divennero l’indirizzo prevalente dell’intera struttura produttiva canturina. Nella relazione annuale sull’andamento dell’economia nel 1972, il Presidente della Camera di Commercio di Como rilevava che la produzione di mobili su misura si era portata su ottimi livelli ed era favorita da una tendenza della clientela “a personalizzare sempre più l’arredamento, preferendo quindi questa produzione a quella di serie.” L’arredo su misura – che annoverava sia la clientela diretta, con la quale spesso si stabilivano rapporti personali e duraturi, sia quella acquisita tramite architetti e designer – rispondeva nel migliore dei modi alle riconosciute competenze di Cantù e del suo territorio nel realizzare progetti di ogni grado di difficoltà, in forme e materiali diversi. Una propensione che richiedeva l’attitudine a risolvere le più svariate problematiche tecniche, nonché la sensibilità necessaria a formulare proposte efficaci, poiché le richieste erano, e continuano ad essere, sempre più complesse e mutevoli.
Tra le aziende più qualificate nella realizzazione dei progetti su misura, in osservanza della tradizione di alta qualità canturina, vanno annoverate la Arredamenti Pino Meroni, la cui organizzazione era basata sullo sviluppo esecutivo del progetto, le ditte Bruno Longoni, Consonni International, Effebi Arredamenti, Bruno Moscatelli, Moltenimobili, Gaffuri Eligio e Figli, Emmemobili e, con un tratto più classico, OAK, Arnaboldi Interiors e Ampelio Gorla. L’alto livello esecutivo consente loro di affrontare e risolvere anche i progetti più complessi, come la doppia elica del DNA realizzata per l’ospedale San Raffaele dalla ditta Gaffuri o gli uffici governativi presidenziali del Cremlino arredati negli anni novanta da OAK e ancora attualmente in uso. Nata nel 1979 con un orientamento nel mobile classico e in stile, dal 2001 si dedica anche all’arredo di gusto contemporaneo collaborando con noti progettisti come Luca Scacchetti, Ettore Sottsass e Paolo Portoghesi.
A fronte dei primi segnali di difficoltà del settore, nell'ambito delle iniziative a favore della programmazione economica, nel 1981 l’Amministrazione comunale di Cantù come ricorda Casartelli diede vita all’ente di sviluppo Qualità Cantù, con la finalità di valorizzare la produzione del mobile. Al Comune si associarono la Camera di Commercio e le tre Esposizioni ancora attive, ossia il Consorzio Esposizioni Mobili, la Permanente Mobili e la Galleria Mobili d’Arte. Affinchè l’esperienza maturata negli anni della Selettiva non si disperdesse, non fu esclusa l'eventualità di riproporre un concorso del mobile “con adesione libera o a inviti”, ma questa opportunità non fu messa in atto.
Il nuovo ente avrebbe dovuto contribuire a restituire all’immagine di Cantù quelle prerogative che l’avevano sempre contraddistinta, costituire l’Archivio della Selettiva in cui custodire i documenti, i progetti e i prototipi di tutte le edizioni del concorso, valorizzando e attuando il primo nucleo di quel museo del mobile di cui a Cantù si parlava da oltre settant'anni.
Nella difficile congiuntura che in quel momento il settore stava attraversando, a Qualità Cantù fu demandato il ruolo di coordinamento delle forze ancora esistenti, cercando di evitarne la dispersione o il loro annullamento. Ma per contrastare – sostenne Norberto Marchi – “ulteriori naufragi che isolerebbero Cantù, con tutte le deprecabili conseguenze che ne deriverebbero diventava più che mai urgente salvaguardare quella professionalità ancora rilevante della produzione locale, [perché solo un’elevata qualità poteva permettere] il confronto con le migliori marche industriali e recuperare quel peso che l’immagine di Cantù aveva sempre avuto nel passato.” Non tutte queste premesse ebbero effettiva attuazione e la pressione esercitata dalle attese, forse eccessive, non favorì il loro adempimento. Conseguirono invece risultati lusinghieri i convegni organizzati tra il 1981 e il 1988 dal Centro di ricerche e sviluppo Qualità Cantù con i quali ci si era prefisso di definire sia il quadro della situazione produttiva della città, ancora strutturata sulla piccola impresa, che le indicazioni sulle sue possibilità di rilancio. Il programma dell'ente non trascurava le prospettive di sviluppo e le sue modalità di rilancio. Va in questa direzione il coordinamento della partecipazione canturina alla manifestazione veronese "Abitare il tempo", alla quale aderirono alcune delle più qualificate aziende del settore con cui si riaffermava il primato di Cantù nel settore del mobile: non soltanto nel campo del legno ma anche in quello del metallo, del vetro, della pietra, del tessuto e della pelle. La presenza a Verona conseguì i migliori risultati nel 1991, quando Cantù venne invitata a rappresentare ufficialmente la Lombardia, sviluppando un progetto coordinato da Ugo La Pietra, e nel 1992 con l’intera sezione curata e allestita da Luca Scacchetti.
Pur tra critiche e discussioni, che talora lo vedevano come un punto di riferimento, talaltra come un ente inutile, le iniziative di studio, previsione e promozione di Qualità Cantù si protrassero sino alla soglia del nuovo millennio, ma già intorno alla metà degli anni Novanta, le sue iniziative persero l'incisività che avevano invece avuto in precedenza, sino a esaurire quasi completamente la loro efficacia propulsiva in termini economici e culturali.
Nonostante gli studi sulle modalità di rilancio e i diversi tentativi messi in atto per arginarne la caduta, il declino delle esposizioni risultò inarrestabile: quel canale commerciale ancora basato sull’attesa della clientela si rivelava sempre più svigorito, ormai destinato a mesto declino, alla chiusura o, nel migliore dei casi, al ridimensionamento.
Il tramonto delle esposizioni non era che l’aspetto più tangibile, quello che sollevava le maggiori reazioni, ma a perdere posizioni cominciava ad essere tutto il settore del mobile, ormai incapace di conservare quel primato che aveva consentito al nome di Cantù di essere conosciuto e apprezzato ovunque.
Indicativa a questo proposito è la testimonianza di Ico Parisi, uno dei protagonisti del design contemporaneo che con le aziende canturine ebbe un rapporto quarantennale: “Per parlare dell’attuale situazione dell’artigianato del mobile canturino, è legittimo chiedersi perché, pur disponendo di un’altissima qualità esecutiva e di indiscusse capacità tecniche, esso non sia riuscito a difendere e conservare il prestigio conquistato attorno agli anni ’45 -’50.”
Tra le cause di questa crisi, culturale prima ancora che economica, va certamente annoverata la mancata valorizzazione di tutte quelle conoscenze sedimentatesi in 150 anni di storia e il non averle sapute convertire in necessità del presente. Una riprova dell’ingente quantità di idee e di lavoro realizzato dalle aziende canturine si può riscontrare sulle riviste dell’epoca. “Ricerca impossibile oggi a Cantù – sottolineava il designer comasco – dove poco o nulla è stato conservato o raccolto, dove non esiste un archivio o un museo, [dove è venuta a mancare la capacità di] essere uniti e solidali [ossia quella forza che avrebbe potuto dar vita a] “uno stile Cantù.”
Le profonde trasformazioni del mercato e l’emorragia di imprese che contrassegnavano i primi anni Novanta imposero una strategia pubblica a favore del settore del mobile. A questo scopo nel dicembre del 1989 la Regione Lombardia erogò un contributo straordinario di un miliardo e mezzo di lire per la “realizzazione di un centro espositivo e di servizi alle imprese operanti nel settore del legno, mobile ed arredamento nella città di Cantù.”. L’iniziativa prevedeva l’apertura di un centro studi e servizi per promuovere la cultura del design tra le piccole e medie imprese del settore. Con il finanziamento del Comune di Cantù, dell’Amministrazione Provinciale, della Camera di Commercio di Como e delle Associazioni di categoria, il 1° ottobre 1992 nasceva il CLAC, Centro Legno Arredo Cantù.
Localizzato nel palazzo della Permanente in piazza Garibaldi, l’avvio dell’attività operativa ebbe luogo con la promozione del concorso internazionale Home Design Competition, il cui scopo era di introdurre nuove istanze progettuali nel settore dell’arredo: un’iniziativa che in qualche modo riproponeva le modalità adottate trent’anni prima dalla Selettiva del Mobile.
L’iniziativa di maggior risonanza del nuovo ente fu senza dubbio l’accordo stipulato nel luglio del 1995 con l’ADI – Associazione per il Disegno Industriale – con cui si definiva una collaborazione volta alla realizzazione di uno spazio destinato alla ricerca, alla documentazione e alla promozione del progetto d’arredo industriale e artigianale: una Galleria del Design e dell’Arredamento. L’atto centrale di questo accordo fu la convenzione per il comodato d’uso gratuito, ma temporaneo, della collezione storica del Premio Compasso d’Oro, il riconoscimento più ambito nel campo del disegno industriale italiano. La collezione illustrava l’evoluzione del design in Italia dal 1954 sino agli anni più recenti, con oggetti esposti a rotazione, immagini, testi esplicativi e la documentazione dei lavori delle giurie. Comprendeva 651 manufatti che nel 2003 la Soprintendenza di Milano dichiarò di interesse storico-artistico nazionale.
Affidata alla direzione scientifica di Roberto Rizzi, la Galleria ha gestito la collezione del Compasso d’Oro ADI dal marzo 1997 al maggio 2005, richiamando visitatori e studiosi da ogni parte d’Europa.
Insieme a questa, altre collezioni furono gestite dalla Galleria del Design: già nel gennaio del 1996 un accordo con Cosmit consentiva il trasferimento a Cantù delle raccolte “Mobili del Razionalismo Italiano” e “Neoliberty e dintorni”, un insieme di modelli realizzati nel 1988 e nel 1989 dal Salone del Mobile.
L’insieme di questo patrimonio consentì alla Galleria del Design e dell’Arredamento di ottenere dalla Regione Lombardia lo status di museo con tutte le prerogative che questo comportava, compresa quella di essere considerata una tra le prime raccolte in Italia dedicate al disegno industriale.
In seguito alla chiusura del CLAC, nel 2011 la Collezione Bruno Munari, i mobili del Razionalismo Italiano, la collezione Neoliberty e dintorni e l’intera biblioteca sono state acquisite dal Comune di Cantù e depositate presso Enaip Factory di via Borgognone.
Nel processo di assestamento del distretto del mobile, le incognite della congiuntura sfavorevole degli anni novanta, e di quella ancora più pesante del quinquennio 2008 – 2013, sono state superate con minori difficoltà da quelle aziende che hanno saputo rispondere alle richieste e alle opportunità provenienti da mercati globali sempre più esigenti ed esclusivi. Oggetti iconici, arredi di lusso e nautici sono gli odierni orientamenti del settore del legno arredo del Canturino. Per queste aziende l’oggetto standard non esiste più, sostituito da un prodotto di alta gamma singolare e irripetuto.
L’attitudine a soddisfare una domanda selettiva attraverso l’abilità manuale, le competenze tecniche, l’utilizzo di materiali pregiati continuano a essere i punti di forza del distretto canturino, ma per reagire ai rivolgimenti imposti dalla globalizzazione le imprese del mobile hanno dovuto affidarsi agli investimenti tecnologici e alla digitalizzazione del processo produttivo. Le tradizioni manuali e culturali trasmesse nelle botteghe oggi non bastano più se non sono associate alla trasformazione digitale, accanto alle mani del falegname indispensabili a rifinire e perfezionare sono indispensabili le mani intelligenti del tecnico dell’industria 4.0 in grado di tradurre il progetto nel linguaggio delle nuove tecnologie.
Infine un tema che sta molto a cuore a Casartelli. Un’ulteriore iniziativa volta a restituire vigore all’identità canturina si ravvisa nell’ennesimo tentativo, nell’arco di ottant’anni, di dar vita a un museo dell’Artigianato e delle Arti Industriali, attraverso il quale dare un’adeguata rappresentazione al principale settore produttivo canturino, che permettesse di ridare slancio alla produzione. Nonostante la determinazione del comitato promotore, che per buona parte degli anni ottanta si impegnò nella raccolta degli oggetti e nell’organizzazione del museo, e la pubblicazione nel 1995 di un quaderno del Museo, ancora una volta l’iniziativa non trovò una concreta attuazione. La genericità della selezione del materiale dovuta alla controversia sui requisiti del museo, alternativamente inteso come narrazione della civiltà artigiana piuttosto che del mobile vero e proprio, e l’inadeguatezza degli spazi a disposizione sottrassero all’iniziativa ogni possibilità di attuazione.
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