Nel tardo pomeriggio del giorno 26 novembre prossimo (ore 18) presso il Salone Musa della Associazione Giosue Carducci di Viale Cavallotti n° 7, Marco Ballerini, di professione attore (classe 1964) si cimenterà in un genere nuovo.
Una conferenza costruita e tenuto dallo stesso a titolo: “Mi son perso nelle parole”.
Il testo e l’argomento che Ballerini si presta a comunicare al pubblico nasce dalla lunga esperienza e “confidenza” col mezzo linguistico, dalla riflessione se davvero il linguaggio sia ancora un mezzo di comunicazione, dall’uso di verbi, aggettivi, sostantivi profusi nei testi della letteratura italiana ed europea da lui cavalcata e sedimentata in anni di pratica nel teatro classico (dal 1986), che obbliga ad un uso insolito delle parole, anche le più obsolete, o nel teatro dei Ragazzi che stimola la modificazione del linguaggio e la sua semplificazione (dal 1986), di teatro dialettale (1986), che affonda le radici del linguaggio nel volgare italico e addirittura nella lingua latina, di teatro sperimentale(dal 2002) che offre e obbliga a nuovi connubi linguistici, di collaborazioni con la Radio e la Televisione (anche della Svizzera italiana), che impone frasi sintetiche e immediate, fino alla pratica del doppiaggio, della discografia, di letture nelle stagioni di Parolario, o del Leggìo di Campione, del Conservatorio di Como, e soprattutto dalla collaborazione con scuole di ogni genere e grado e con le biblioteche.
Da tutta questa variegata e multiforme attività, Marco Ballerini che si definisce nato in un piccolo paese di campagna della provincia di Como e che è autore di oltre dieci copioni teatrali dei quali ha pubblicato Amleto solo è anche docente di Lettura espressiva di Dizione e Fonetica.
La conferenza di oggi propone agli astanti una indagine profonda, esilarante, insolita e sconcertante nel vastissimo mondo del linguaggio con un programma esaurientemente descritto dallo stesso Ballerini:
“giusto andare a risvegliare parole dormienti? Con quali parole parliamo oggi? Sicuramente il nostro dizionario si è assottigliato non poco; per risparmiare tempo o per indolenza? E le migliaia di parole che non si usano più dove vanno a finire? Eugenio Montale dice che si celano nei dizionari. Ed eccomi allora a studiare, perdendomi dentro di esso. Una lunga ricerca di testi scolastici, romanzi, libri di poesia, testi teatrali e invenzioni poetiche. La parola si piega al nostro desiderio e alla nostra evoluzione. La parola protagonista umile, potente e assolutamente indifesa.
Le invenzioni fonetiche, con le quali voglio sfidare l’oblio, sfidare il tempo e salvare queste parole prima che scompaiano del tutto. Allora, ho fatto un gran bucato. Ho steso le parole e il vento, le ha mischiate. Ho ritirato dai fili il mio bottino e ho riso profondamente per il risultato ottenuto. Le parole che prima erano chiare, si sono trasformate in colori difficilmente riproducibili ma di una bellezza autentica.
Racconterò di donne e di uomini, di vite meravigliose e di amori fisici non corrisposti, di mitologia, la creazione del mondo pensata da Esiodo e tradotta in beffa in un minuto e mezzo, fino ad arrivare alle burle dialettiche di saccenti dottori che in questo periodo storico spopolano in televisione. Quest’ultima, nata per coccolare le parole, e ora aguzzina spietata di esse.
Si riderà e si penserà. Si ascolteranno parole così lontane dalla nostra esperienza, ma così vicine all’armonia del nostro cuore…
Io mi sono perso nelle parole. Ma senza queste parole, sono perso”.
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