Gianfranco Colombo - Nell’ambito della rassegna “Un’estate da vivere nel cuore delle Grigne”, i Piani Resinelli non sono stati solo il luogo dove si sono svolti i vari appuntamenti, ma anche l’oggetto di diversi approfondimenti sulla loro storia. In particolare, Alberto Benini ha guidato i partecipanti lungo un originale percorso intitolato: “Quando i Resinelli si chiamavano Roccoli”. Storico dell’alpinismo, Alberto Benini è un grande conoscitore dei Resinelli: «Volendo tracciare una storia completa dovremmo rifarci alle miniere già esistente ai tempi dei Romani o ai contadini che nella seconda metà del ‘700 salirono agli alpeggi da Mandello.
Concentrandoci sul nome “Piani dei Resinelli” dobbiamo dire che nei primi anni dell’Ottocento la famiglia Resinelli comprò un appezzamento già piantato a roccolo. In quel periodo, “andare a caccia al Roccolo dei Resinelli” divenne una sorta di moda ed il nome della famiglia si trasformò nel nome della località». Dalla caccia all’alpinismo il passo non fu breve, ma questo avvenne ai Resinelli: «Alla fine del XIX secolo arrivarono i primi alpinisti, ma erano soprattutto milanesi.
Erano già stati sulle Dolomiti, ma la Grigna era molto più vicina e tra l’altro in certe giornate la si vedeva anche da Milano. Qualcuno di questi alpinisti cominciò a costruire ai Resinelli qualche casa e seguirono i primi rifugi come quello della Sel (Società Escursionisti Milanesi) ed a seguire, nel 1911, il rifugio Carlo Porta. I Resinelli, in sintesi, erano una “cannonata” di posto.
Lo si raggiungeva facilmente e d’inverno si poteva pure sciare. Va anche detto che i Resinelli non furono mai un paese vero e proprio. Poi, nel 1917, grazie al parroco don Carlo Raspini, venne costruita la chiesetta progettata dall'architetto Paolo Mezzanotte. Inizialmente voleva essere un luogo sacro dedicato alle vittime della montagna, ma poi divenne un vero e proprio centro di aggregazione». La passione per la montagna e l’arrampicata trovò radici soprattutto negli anni difficili seguiti alla prima guerra mondiale: «Dopo il primo conflitto mondiale l’alpinismo divenne una passione popolare. Prima arrivarono i super ricchi milanesi quelli per i quali il rifugio sotto la Grigna era un prolungamento della sede del Cai in Via Vittorio Emanuele a Milano. C’era, poi, la Sel, costituita dalla borghesia nascente e dagli studenti del Politecnico.
Arrivarono, infine, i lecchesi e l’Ape (Associazione Proletari Escursionisti) e furono quelli che diffusero l’escursionismo e l’arrampicata. I lecchesi non avevano fatto scuole di alpinismo particolari, non avevano una tradizione alpinistica, ma erano tutti operai e per giunta allenatissimi. Sapevano costruirsi i chiodi, erano capaci di dare un colpo di martello come si deve ed erano bravi con le mani. Probabilmente aveva ragione Carlo Mauri quando scriveva che noi lecchesi “siamo nati e cresciuti in salita”. Tutto questo si distilla ai Resinelli, lì tutto era a portata di mano. La Grignetta divenne presto la casa comune dell’alpinismo lombardo».
Con il fascismo le cose cambiarono, sulle nostre montagne sbarcò la lotta politica con lo scontro tra “neri” e “rossi” e qui ci fu anche un’appendice del delitto Matteotti: «C’erano gruppi di squadristi che battevano le montagne contro i rossi, ma d’altra parte proprio i rossi praticavano molto l’escursionismo, che era visto come un efficace antidoto all’eccessiva frequenza delle osterie. Tra i tanti episodi possiamo individuare la denominazione data alla “Punta Giulia” sulla Grigna, dedicata a Giulia Resta, sarta ed alpinista comunista».
C’è tanta storia e tante storie in queste montagne sopra ai Resinelli, località che nel secondo dopoguerra ebbe una sorta di esplosione turistica simboleggiata da quel grattacielo di fronte al quale continuiamo a chiederci se era proprio il caso: «Diciamo che i Resinelli hanno pagato un alto prezzo al boom economico ed anche qui, come a Lecco, c’è stato un elevato consumo di suolo. Eppure le firme di architetti come Paolo Mezzanotte, Mario Cereghini e Mino Fiocchi hanno abbellito con le loro opere questa località. Purtroppo in quegli anni non si è stati attenti. Ora dovremmo avere il coraggio di fare qualche passo indietro. Andrebbero valorizzati i sentieri pensando all’eco sostenibilità e mitigato opportunamente l’impatto delle tante costruzioni che occupano i Resinelli. Basterebbero piccoli interventi per rendere più bello il paesaggio di un luogo prezioso».
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