La popolarità di Kazantzakis (1883-1957), un degli intellettuali più importanti della letteratura europea, presso i lettori italiani dipende, quasi esclusivamente, dalla sua produzione in prosa (sono ben noti, anche per la trasposizione cinematografica, i romanzi Zorba il greco e L’ultima tentazione). Questo accresce i meriti della pubblicazione nella traduzione italiana di Nicola Crocetti del suo poema Odissea (uscito in Grecia nel 1938). Peraltro l’opera ha dimensioni inusuali, poiché, articolata come i poemi omerici in 24 canti, consta di ben 33.333 versi (decaeptasillabi, un metro inconsueto nella prosodia neogreca) per un totale – nell’edizione italiana – di quasi ottocento pagine dell’edizione italiana.
La narrazione di Kazantzakis riprende – come quella di Dante nel canto XXVI dell’Inferno che assume parzialmente come modello – motivo della irrequietezza di Ulisse una volta tornato a Itaca. Nella sua terra, finalmente raggiunta e riconquistata, l’eroe non si sente appagato. Eloquenti di tale stato d’animo i versi 951-962 del Canto XVI. È Ulisse a parlare:
La patria mi stava stretta, sentivo oltre le sue rive
altre patrie dagli occhi ridenti, altre anime carnose,
tristezze e gioie di ogni sorta, fratelli e sorelle,
che sedute sulle rive aspettavano il mio ritorno!
Che tu sia benedetta, vita, per non essere rimasta
fedele a un solo matrimonio, come una donnicciola;
è buono il pane del viaggio e l’esilio è miele,
per un istante eri felice, godevi ogni tuo amore,
ma presto soffocavi, e a ogni amante dicevi addio.
Anima, la tua patria è sempre stata il viaggio!
La virtù più fertile al mondo, la santa infedeltà,
segui fedele tra risa e pianti, e più in alto sali!
L’Ulisse di Kazantzakis, tuttavia, si discosta non poco da quello dantesco. A spingere l’eroe del XXVI Canto dell’Inferno a riprendere il mare e a varcare i confini del mondo è “l’ardore/ ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto/ e delli vizi umani e del valore”; ciò non basta al personaggio di Kazantzakis che è mosso da un irrefrenabile impulso a lasciarsi alle spalle quanto è consueto e convenzionale (“borghese”), a tradire le aspettative riposte in un figlio, in un padre, in un marito. È un eroe amorale, “fedele” alla “santa infedeltà”, che celebra nei versi citati come “la virtù più fertile al mondo”. Più che a Dante, il poeta cretese sembra rifarsi a Nietzsche, altro autore da lui amato e tradotto, da Kazantzakis posto insieme al socialismo di Lenin alla base del suo pensiero.
La prosecuzione del racconto omerico vede l’Odisseo di Kazantzakis portarsi a Sparta, sedurre la bella Elena, moglie del suo vecchio amico infrollito Menelao, poi recarsi a Creta, dove rovescia e distrugge il regno del suo ex-compagno Idomeneo , poi in Egitto, a Eliopoli, dove conosce varie peripezie, e prosegue il viaggio verso sud.
Termine del viaggio il Polo Sud, dove, moribondo, giunge a bordo di una barca che è una bara, e la trasfigurazione di Ulisse in pura luce.
La traduzione di questo poema ciclopico di Kazantzakis è stato il frutto di sette anni di lavoro per quella singolare figura di traduttore-studioso-editore che è Nicola Crocetti, nato a Patrasso nel 1940 da madre greca e padre italiano, milanese di adozione, tra i più attivi e intelligenti promotori della conoscenza della poesia e della cultura greca.
La prof.ssa Gilda Tentorio, che ha contribuito alla revisione della traduzione, è docente a tempo indeterminato presso il liceo scientifico “G.B.Grassi” di Lecco, ed è docente di lingua e letteratura neo-greca presso le Università di Pavia e Milano. Ha appena pubblicato, per Polyhistor Edizioni, l’edizione italiana del volume di Tassoula Karagheorghìou, Il Metrò.
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