2021-04-12

La miniera di piombo sul Coltignone




Cesare Perego - Avendo ottenuto regolare autorizzazione, o patente, alla data del 30 luglio 1676, i Busca e un Pedrotti si propongono di avviare una miniera di piombo sulla Grigna, o meglio sul Coltignone.

Vien stabilito che ogni attigua concessione altrui “habbia da stare lontano 1000 passi, cioè 1411 metri, dalla cava incominciata……………. ma si habbi da indirizzare la cava nuova a parte opposta ed non verso quella ove pendeva la prima”.

Occorre inoltre tenere conto che già quasi cent’anni prima, nel 1582, il dott. G.F. Gerosa aveva chiesto dieci anni di immunità fiscale, cioè l’esenzione dalle tasse, per scavare “certe miniere di piombo, ferro ed altri minerali” nel territorio lecchese. Per dieci  anni il Pedrotti e Brusca non riescono a trovare, neppure oltralpe, operai metallurgici capaci di colare efficacemente il loro minerale: agli scavi lavoravano cinque uomini per tre mesi, poi nel 1685, si giunse a otto operai per quattro mesi all’anno.

Nel 1680 e nel 1682 si tentano infelici colate entro forni disposti alla bocca della miniera; le dirigono, in maniera avventata, due mastri alemanni, uno dei quale muore, l’altro deve fuggirsene. Successivamente si sfrutta un forno dei Bolis a Olate, infine quelli della fucina Serponti alla Maddalena d Lecco.

Gli alemanni del Valese (il paese di Valessio, nella Svizzera) giunsero nel 1685, riuscendo finalmente a tirare piombo dalla vena (25 q.li da 100 di minerale tenore 25%), nel 1686 i soci ottengono il permesso di importare due barili di polvere tedesca da mina, con esenzione di qualunque dazio, in quanto la polvere fabbricata nel milanese “non è habile per dar mina alli sassi, havendo puoca forza”.

Il visitatore fiscale T.A. Tartari nella sua relazione del 14 gennaio 1686 afferma che gli scavi sono “tanto antichi che a memoria di homini non si sa da chi siano stati fatti, perché essa miniera ha più di una bocca et si inoltra nelle viscere della montagna per più di due miglia (3 Km), con strade manualmente fatte ma scabrose et difficilissime da praticarsi” la vena era mischiata con “antimonio, solforo (zolfo), e marchesetta”

Nel 1743 avviene che il marchese M. Damiani scoprirà “la solita miniera di piombo” sul Coltignone, della quale nel 1704, s’era interessato anche il marchese G.B. Davia; ma nel 1740 la facoltà di scavare una vena di piombo sulla montagna sopra Mandello verrà concessa a C.A. Zucchi.



Nella sua ”storia della siderurgia lombarda (1962-63)” A. Frumento asserisce che “la più riscoperta miniera di piombo sarà quella a monte di Pomedo nella Valle Calolden, quasi in cima (m 1300) allo strapiombo tra il Funtanin del Luf e il Roccolo dei Resinelli”. Su istanza dei fratelli Crotta e utilizzando allo scopo una dichiarazione del sacerdote V. Crotta resa il 3 febbraio 1865, il Comune di Lecco rinnova la concessione già in atto nel 1863 per lo sfruttamento di due miniere di Caloldino.

In tutta la Valsassina le miniere erano abbastanza numerose e sfruttate da secoli, tanto da originare lavori tradizionali di fusione e battitura del ferro; erano anche la più importante fonte di lavoro per gli abitanti. Le miniere della Valcalolden e Val Grande, coltivate sino all’800, sono state riattivate, anche se per breve tempo, nel primo dopoguerra dalla società lecchese SAL-BAR, e chiuse definitivamente negli anni 50 del novecento.

Attualmente questa realtà mineraria è stata recuperata a finalità turistico-culturale, visitata mediamente da 5000 visitatori, una piccola rappresentazione di un territorio come quello lecchese, che qui ha avuto un importante impulso al suo sviluppo industriale.

 

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