In un libro di Antonio Gottifredi uomini ed eventi succedutisi nella seconda metà degli anni Quaranta. E monsignor Teresio Ferraroni scriveva: “Mi sembra di poter dire che la fede e la preghiera erano la forza del nostro impegno”
di Claudio Redaelli Un titolo - Le Acli lecchesi dal 1945 al 1950 - e un sottotitolo: “Dalla corrente sindacale cristiana alla Cisl”. Era il 1995 e Antonio Gottifredi dava alle stampe un libro in cui racchiudeva per così dire uomini ed eventi succedutisi appunto nella seconda metà degli anni Quaranta e in cui parlava di gente e di fatti della piccola storia lecchese riferita al mondo operaio e alla presenza al suo interno di un’iniziativa cattolica.
A dare in quegli stessi anni un proprio significativo contributo vi fu, tra gli altri, monsignor Teresio Ferraroni, assistente delle Acli lecchesi dal 1945 al 1958 e dal 1974 al 1989 vescovo di Como.
Fu lui a curare la prefazione di quel libro, stampato dall’Editoria grafica Colombo, allora con sede in Lecco. E fu lo stesso prelato a paragonare lo scritto di Gottifredi a “un racconto fresco, piacevole, soprattutto per coloro i quali in quegli anni e nelle vicende narrate si sentirono coinvolti come attori e responsabili”.
“Si delineava ormai all’orizzonte - si legge in un passaggio della prefazione - il tramonto delle dittature, la fine di un conflitto carico di dolori e di divisioni. Sorgeva un giorno desiderato e insieme temuto, un giorno nel quale si sarebbero dovute assumere responsabilità. Le incognite erano tante e ci si sentiva impreparati”.
“Non era quello il tempo di essere troppo precisi, di muoversi con eccessiva cautela - scriveva monsignor Ferraroni - perché occorreva decidere in fretta, mettersi decisamente in cammino, pronti a correggere il proprio passo, adeguandolo ad eventi che non erano perfettamente prevedibili”.
Un settore significativo di quegli anni fu quello del mondo operaio. Anche nel Lecchese i lavoratori avevano preso posizioni ferme e coraggiose e in parecchi avevano pagato con stenti, se non addirittura con la vita, le loro scelte.
Coltivando speranze, anche il mondo cattolico lecchese più impegnato si era per così dire ritrovato. “Ci si trovava a pensare - scrisse sempre monsignor Ferraroni - e a progettare partendo dal pensiero sociale della Chiesa. E a pregare. Mi sembra proprio di poter dire che la fede e la preghiera erano la forza del nostro impegno. Non era molto chiaro quanto si sarebbe potuto fare, ma si sapeva che il Signore era con noi e che avrebbe guidato i nostri passi”.
L’obiettivo era costruire qualcosa di nuovo, vigilando per non correre il rischio di cadere in una nuova dittatura emergente. Ebbe così inizio la costruzione di un tempo nuovo. “L’unità sindacale - ricordava sempre il presule nella prefazione del libro di Gottifredi - noi la sentimmo come possibile, direi quasi necessaria per la libertà e per la giustizia e, quando non fu possibile procedere insieme, fu una grande sofferenza… Furono anni di attività intensa, anni di passione. Abituati a soffrire, l’azione era quasi frenetica ma alla fine gioiosa e del resto gli ideali non consentivano la stanchezza”.
Ideali umani, certo, ma anche ideali di fede. E agli uomini di allora e in particolare ai giovani un augurio: quello di trovare vie diritte, nuovi modi di vivere gli ideali di sempre, nuove capacità di servire e di donare.
Lo stesso monsignor Ferraroni non mancava del resto di ricordare in quella pubblicazione che la storia continua, così come la fatica del lavoro. E che noi lasciamo in eredità quanto siamo stati capaci di accumulare. “Contenti di aver vissuto quegli anni - ebbe a sottolineare il prelato - meno contenti degli anni che corrono, fiduciosi nel Signore della storia e anche nell’uomo che, se vuole, sa sempre trovare la forza di costruire qualcosa di nuovo”.
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