Gianfranco Colombo - Il giorno di Natale di quattro anni fa ci lasciava Pino Galbani, l’ultimo testimone dei ventisei lavoratori dell’azienda Bonaiti arrestati il 7 marzo 1944 a Lecco e deportati nei campi di concentramento di Mauthausen-Gusen e Auschwitz. Un uomo buono e straordinario Pino Galbani, che aveva dedicato tanti anni della sua vita a trasmettere, soprattutto ai giovani, la memoria di quella sua esperienza drammatica. Del resto, quando fu arrestato e deportato, aveva solo 17 anni ed anche per questo la sua esperienza era divenuta emblematica. Non fu facile, per lui come per gli altri sopravvissuti, tornare alla vita “normale” e trovare la forza di raccontare quanto aveva vissuto. In un’intervista di qualche anno fa, lo stesso Galbani ricordava le difficoltà incontrate quando si trattava di spiegare quanto gli era accaduto: «Il ritorno a casa fu ovviamente bello, ma presto capii quanto fosse difficile comunicare la tragedia che avevo dovuto affrontare. I parenti di coloro che non erano tornati non riuscivano a darsi una ragione, io stesso facevo fatica a spiegare le brutture vissute. Per molti anni, allora, quasi non parlammo di quello che avevamo passato. Nei primi anni Novanta, un certo revisionismo storico e la proiezione dei primi film girati dagli inglesi nei campi di concentramento, ci convinsero che la memoria di quei giorni terribili andava tenuta viva. E’ per questo che continuo ad andare nelle scuole a testimoniare ai giovani quella mia discesa all’inferno».
Pino Galbani fu coinvolto in uno dei fatti più gravi che colpirono la nostra città durante gli anni tragici dell’occupazione nazifascista. Il 7 marzo 1944 i lavoratori della Bonaiti furono deportati nei campi di sterminio tedeschi, per lo sciopero messo in atto contro il potere fascista e nazista. Gli scioperi iniziarono nelle aziende di Torino e Milano alla fine del 1943 e proseguirono nei primi mesi del 1944. I lavoratori cercarono di boicottare la macchina da guerra nazista, subendo in prima persona le repressioni durissime dei nazisti e dei repubblichini. Anche a Lecco i fermenti dello sciopero lievitarono ed il 7 marzo fu la data stabilita per l'inizio delle agitazioni. Alla Badoni, alla Bonaiti di Castello, alla File, all'Acciaieria del Caleotto, all'Arlenico gli operai entrarono negli stabilimenti ma attuarono lo sciopero bianco, cioè si stava in fabbrica ma non si lavorava. Ma quali erano le motivazioni di quello sciopero? Le spiega lo stesso Pino Galbani nel libro “58881. Un diciottenne nel lager di Mauthausen-Gusen”, scritto con Angelo De Battista: «Tutti erano stanchi di una guerra che si trascinava da molti anni e noi giovani, pur nella nostra inesperienza politica e malgrado tutta la propaganda fascista, vedevamo che non c’era possibilità di vittoria. Si capiva che le dichiarazioni di Mussolini erano tutte fandonie… Poi chiedevamo un aumento di stipendio: in quel periodo fino ai 16 anni eravamo pagati 80 centesimi all’ora e un chilo di pane costava 2-3 lire; la farina si trovava solo al mercato nero e costava molto oppure bisognava andarla a comperare nella Bergamasca o nel Bresciano. Insomma, soprattutto per chi aveva famiglia, non era più possibile tirare avanti in quelle condizioni. Per questo quasi tutti gli operai erano pronti a scioperare, nonostante i rischi che correvano». Infatti, la reazione non si fece attendere, ma non furono i nazisti ad intervenire bensì i repubblichini.
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