Un elefante, dunque, doverosamente imbalsamato da Vercelloni che quando si trattava di «impagliare» un animale non si fermava davanti a nulla, neppure ad un pachiderma che gli deve aver creato non pochi problemi. Ma Carlo Vercelloni, autentico artista della tassidermia, andò oltre ed inventò anche un nuovo metodo per imbalsamare i cadaveri: si trattava della «cassa autoimbalsamatrice» che non manometteva le salme ma permetteva di conservarle perfettamente. Aveva brevettato e commercializzato un sistema innovativo che lui stesso descrive con precisione: «Riuscii a combinare speciali sostanze balsamiche, che operano sul cadavere in modo tale da sottrarlo ad ogni dissoluzione ed alterazione e da trasformarlo in una mummia naturale… tutto ciò col naturale adagiamento della salma nel feretro espressamente preparato e senza ricorrere a manomissioni di sorta». Si può leggere, infatti, sul «Prealpino» del 26 marzo 1898: «Alla presenza delle autorità cittadine e di parecchi medici della città e dintorni, il 17 corrente, ebbe luogo, nella sala mortuaria del nostro Ospedale, la constatazione dello stato di conservazione del cadavere adoperato dal concittadino Rag. Carlo Vercelloni per l’esperimento della sua nota invenzione di auto mummimbalsamazione. Venne rilasciato un attestato all’inventore comprovante che, scoperta la cassa dopo un anno di conservazione, il cadavere non dà odore di putrefazione e che lo stesso conserva perfettamente lineamenti, capelli, baffi e peli».
Questo era in effetti il secondo esperimento del genere messo in atto dal Vercelloni ed era stato fatto il 14 gennaio del 1897 sulla persona di Oreste Reina, un pittore trentaduenne figlio di ignoti, morto all’Ospedale di Lecco per «encefalopatia saturnina». Il primo esperimento di imbalsamazione era avvenuto due anni prima ed aveva riguardato un bambino di circa sei anni, morto di meningite tubercolosa all’Ospedale Maggiore di Milano. A questi primi due esperimenti seguirono altre imbalsamazioni che riguardarono anche cittadini illustri di Lecco. Ricordiamo monsignor Pietro Galli, prevosto di Lecco e don Davide Albertario, direttore dell’Osservatore Cattolico di Milano. La fama di Carlo Vercelloni superò presto gli angusti confini lacustri. Il 24 novembre 1916, il Consiglio comunale di Lecco approvava la cessione del Museo di storia naturale da parte di Carlo Vercelloni, che ne divenne il direttore.
Il Comune di Lecco acquistò tutta la collezione zoologica di Vercelloni. In un primo tempo il Museo Vercelloni si trovava in Piazza Garibaldi, dove ebbe poi sede la Banca Popolare di Lecco, e fu poi spostato in due sale del palazzo scolastico in via Ghislanzoni. Il suo approdo a Palazzo Belgiojoso, nel quartiere di Castello, avvenne alla fine degli anni Venti del Novecento. Un ritratto quanto mai efficace di Carlo Vercelloni ci è stato lasciato dal giornalista Arnaldo Ruggiero (1890-1989) nel suo volume “Piccolo mondo antico lecchese”: «Ho presente davanti agli occhi la figura di Carlo Vercelloni. Era piccolo di statura, ma aveva un viso caratteristico, perché illuminato da un sorriso arguto, che lo rendeva d’acchito simpatico, a chi lo incontrava per la prima volta. Sembrava un ometto ed invece era un “naturalista” sapiente. Morì il 23 agosto 1932, fra il compianto non solamente del mondo della cultura, ma dell’intera cittadinanza».
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