Gianfranco Colombo - E’ la Befana fascista ad agitare le acque di Bellano alla fine del 1929. Questi mesi ricchi di esilaranti sorprese sono raccontati da Andrea Vitali nel suo ultimo romanzo: “Nessuno scrive al federale” (Garzanti editore). Tanto per cominciare, a Bellano i segretari del Partito Nazionale Fascista duravano pochissimo e questo non piaceva al Federale che avrebbe volentieri cancellato quel paese dalle carte geografiche dell’Impero. Il cipiglio con cui presiede alla nuova nomina è chiaro, a Bellano i balletti dei segretari devono finire. Con queste parole assurge alla carica di segretario del PNF, tale Caio Scafandro, capomastro dell’Impresa edile Calcarena, bravissimo nel suo mestiere, un po’ meno nel gestire le urgenze della politica. Del resto, il vero errore dello Scafandro è quello di affidare le sorti del suo nuovo incarico a due “cavalli” bolsi. Stiamo parlando del postino Erminio Fracacci e della fiduciaria dei fasci femminili di Bellano, Fusagna Carpignati. Del Fracacci ci era stata data una descrizione precisa nel romanzo “Un uomo in mutande”: «Una persona sola cosa fa? Si arrangia. Lui era solo e quindi si arrangiava, la filosofia del portalettere Erminio Fracacci iniziava e finiva lì. Avesse avuto una moglie che gli preparava pranzo e cena si sarebbe comportato in altro modo. Ma visto che la vita non l’aveva voluto premiare, se poi era un premio, con una donna che lo accudisse, agiva secondo necessità. Il che significava che se voleva mangiare come un cristiano e non ingolfarsi di pane e salame, pane e mortadella, pane e quello che capitava, doveva spesso fare capo all’osteria del Ponte o a quella del Cantinone». Grande frequentatore di osterie e lavoratore non sempre indefesso, il Fracacci si trova in quest’ultimo romanzo di Vitali, ad essere il fulcro delle varie vicende che si intersecano e che hanno in Fusagna Carpignati una delle punte di diamante. Umorale, soggetta a radicali colpi di fulmine per uomini che neppure la considerano, era l’autentica disperazione per la madre Mercuriale Fededegna ed il padre Eustasio, che l’avrebbe volentieri “ceduta” a chiunque pur di liberarsene. Nelle prime pagine del romanzo la troviamo in preda ad una crisi depressiva da cui si risolleva grazie a Caio Scafandro che le appioppa l’incarico di organizzare la prima Befana fascista a Bellano. La Fusagna, esaltata dalla nuova sfida, parte in quarta e, come il classico elefante in una cristalleria, fa danni a ripetizione. I suoi movimenti da carrarmato inciampano anche in Santa Madre Chiesa o meglio nella perpetua del prevosto, cioè la Scudiscia, da anni Befana incaricata alla distribuzione dei doni il 6 gennaio. C’è un paese in subbuglio, dunque, e proprio in quei mesi arriva a Bellano il nuovo direttore delle Regie Poste, Miriano Bagnarelli, presto soprannominato Gnègnè, per un suo difetto nella pronuncia della “gn”. Quest’ultimo era un uomo accomodante, una brava persona, insomma, sia pur con qualche piccola mania: «Una era quella di curare con particolare attenzione una frangetta di neri capelli che gli cadeva sulla metà sinistra della fronte e che spesso, forse quando credeva di non essere visto, schiacciava e compattava passando la mano umida di saliva. L’altro era un rispetto che sfiorava il servilismo per autorità e maggiorenti del paese, atteggiamento che aveva pregato gli impiegati di condividere, annunciandoglieli quando li vedevano comparire in ufficio così da poterli riverire personalmente e garantire loro un trattamento di preferenza rispetto ai comuni clienti». Sarà proprio lui, il buon Miriano Bagnarelli, a districare la matassa ingarbugliata di una Befana fascista che finirà per assomigliare più ad una commedia dell’assurdo piuttosto che ad una celebrazione fascista. A galleggiare in una dimensione parallela in questo romanzo è il maresciallo Ernesto Maccadò. Le vicende bellanesi, in particolare gli intrallazzi della Fusagna ed i “segreti” del Fracacci, appena lo sfiorano. Neanche le ripetute riunioni a Lecco, per il presunto arrivo di sua maestà Alberto I del Belgio, desideroso di salire in Grigna, sembrano scalfirlo più di tanto. Gli unici suoi pensieri sono rivolti alla moglie Maristella ed a Rocco il nuovo nato in casa Maccadò. Dopo tanta attesa, la distrazione del maresciallo è più che comprensibile. Del resto la caserma di Bellano ha nell’appuntato Letterio Misfatti, nel brigadiere Mannu e nel carabiniere Aurelio Beola, una squadra ben affiatata. Saranno loro a chiudere i giochi di un rebus che a Bellano riesce a trasformare la festa della Befana in una questione politica di rilevanza nazionale. Ci penseranno loro a mettere la parola fine ad una vicenda che era iniziata con il lancio di una sveglia da una casa di Bellano.
2020-12-21
L’ULTIMO ROMANZO DI ANDREA VITALI IN UNA BELLANO DEL 1929
Gianfranco Colombo - E’ la Befana fascista ad agitare le acque di Bellano alla fine del 1929. Questi mesi ricchi di esilaranti sorprese sono raccontati da Andrea Vitali nel suo ultimo romanzo: “Nessuno scrive al federale” (Garzanti editore). Tanto per cominciare, a Bellano i segretari del Partito Nazionale Fascista duravano pochissimo e questo non piaceva al Federale che avrebbe volentieri cancellato quel paese dalle carte geografiche dell’Impero. Il cipiglio con cui presiede alla nuova nomina è chiaro, a Bellano i balletti dei segretari devono finire. Con queste parole assurge alla carica di segretario del PNF, tale Caio Scafandro, capomastro dell’Impresa edile Calcarena, bravissimo nel suo mestiere, un po’ meno nel gestire le urgenze della politica. Del resto, il vero errore dello Scafandro è quello di affidare le sorti del suo nuovo incarico a due “cavalli” bolsi. Stiamo parlando del postino Erminio Fracacci e della fiduciaria dei fasci femminili di Bellano, Fusagna Carpignati. Del Fracacci ci era stata data una descrizione precisa nel romanzo “Un uomo in mutande”: «Una persona sola cosa fa? Si arrangia. Lui era solo e quindi si arrangiava, la filosofia del portalettere Erminio Fracacci iniziava e finiva lì. Avesse avuto una moglie che gli preparava pranzo e cena si sarebbe comportato in altro modo. Ma visto che la vita non l’aveva voluto premiare, se poi era un premio, con una donna che lo accudisse, agiva secondo necessità. Il che significava che se voleva mangiare come un cristiano e non ingolfarsi di pane e salame, pane e mortadella, pane e quello che capitava, doveva spesso fare capo all’osteria del Ponte o a quella del Cantinone». Grande frequentatore di osterie e lavoratore non sempre indefesso, il Fracacci si trova in quest’ultimo romanzo di Vitali, ad essere il fulcro delle varie vicende che si intersecano e che hanno in Fusagna Carpignati una delle punte di diamante. Umorale, soggetta a radicali colpi di fulmine per uomini che neppure la considerano, era l’autentica disperazione per la madre Mercuriale Fededegna ed il padre Eustasio, che l’avrebbe volentieri “ceduta” a chiunque pur di liberarsene. Nelle prime pagine del romanzo la troviamo in preda ad una crisi depressiva da cui si risolleva grazie a Caio Scafandro che le appioppa l’incarico di organizzare la prima Befana fascista a Bellano. La Fusagna, esaltata dalla nuova sfida, parte in quarta e, come il classico elefante in una cristalleria, fa danni a ripetizione. I suoi movimenti da carrarmato inciampano anche in Santa Madre Chiesa o meglio nella perpetua del prevosto, cioè la Scudiscia, da anni Befana incaricata alla distribuzione dei doni il 6 gennaio. C’è un paese in subbuglio, dunque, e proprio in quei mesi arriva a Bellano il nuovo direttore delle Regie Poste, Miriano Bagnarelli, presto soprannominato Gnègnè, per un suo difetto nella pronuncia della “gn”. Quest’ultimo era un uomo accomodante, una brava persona, insomma, sia pur con qualche piccola mania: «Una era quella di curare con particolare attenzione una frangetta di neri capelli che gli cadeva sulla metà sinistra della fronte e che spesso, forse quando credeva di non essere visto, schiacciava e compattava passando la mano umida di saliva. L’altro era un rispetto che sfiorava il servilismo per autorità e maggiorenti del paese, atteggiamento che aveva pregato gli impiegati di condividere, annunciandoglieli quando li vedevano comparire in ufficio così da poterli riverire personalmente e garantire loro un trattamento di preferenza rispetto ai comuni clienti». Sarà proprio lui, il buon Miriano Bagnarelli, a districare la matassa ingarbugliata di una Befana fascista che finirà per assomigliare più ad una commedia dell’assurdo piuttosto che ad una celebrazione fascista. A galleggiare in una dimensione parallela in questo romanzo è il maresciallo Ernesto Maccadò. Le vicende bellanesi, in particolare gli intrallazzi della Fusagna ed i “segreti” del Fracacci, appena lo sfiorano. Neanche le ripetute riunioni a Lecco, per il presunto arrivo di sua maestà Alberto I del Belgio, desideroso di salire in Grigna, sembrano scalfirlo più di tanto. Gli unici suoi pensieri sono rivolti alla moglie Maristella ed a Rocco il nuovo nato in casa Maccadò. Dopo tanta attesa, la distrazione del maresciallo è più che comprensibile. Del resto la caserma di Bellano ha nell’appuntato Letterio Misfatti, nel brigadiere Mannu e nel carabiniere Aurelio Beola, una squadra ben affiatata. Saranno loro a chiudere i giochi di un rebus che a Bellano riesce a trasformare la festa della Befana in una questione politica di rilevanza nazionale. Ci penseranno loro a mettere la parola fine ad una vicenda che era iniziata con il lancio di una sveglia da una casa di Bellano.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento