di Renato Frigerio - Fra le cime appartenenti al massiccio del Monte Bianco, le Grandes Jorasses, situate sul confine, sopra la Val Ferret, sono sicuramente le più alte e, alpinisticamente parlando, le più importanti delle Alpi. Viste dal versante Nord e partendo dal Col des Hirondelles per finire al Col delle Grandes Jorasses abbiamo: la Punta Walker, la Punta Whymper, la Punta Croz, la Punta Elena, la Punta Margherita e la Punta Young, tutte superiori ai 4000 metri. Su queste splendide 6 cime si sono avvicendati i migliori alpinisti del mondo e soprattutto sullo sperone della Walker gli italiani hanno fatto la parte del leone cominciando con la cordata formata dai lecchesi Riccardo Cassin, Ugo Tizzoni e Ginetto Esposito che dal 4 al 6 agosto 1938 ha compiuto la prima ascensione.
Poi si sono cimentati Walter Bonatti e Cosimo Zappelli che dal 24 al 30 gennaio 1963, con temperature di meno 30°, si sono aggiudicati la prima invernale (Bonatti con Andrea Oggioni aveva già percorso questo sperone nell’agosto del 1949). Ed infine Alessandro Gogna, il grande alpinista di origine genovese, l’8 luglio del 1968, su questa via, di 1200 metri, sulla grande parete Nord, ha portato a termine la prima ascensione solitaria.Molto presto, però, sempre nel gruppo del Bianco, ha fatto la sua comparsa l’alpinismo femminile di Marie Paradis (1786-1838), una cameriera di Chamonix che, sollecitata dalle guide di Jacques Balmat (in cordata coi suoi figli Ferdinand e Jean-Gèdèon e con Michel e Victor Tairraz e Pierre-Marie Frasserand), riuscì a salire sulla cima più alta d’Europa nel 1808 (14 luglio). Tutto ciò le provocò una certa notorietà che le permise di aprire un posto di ristoro ai Pèllerin, versante di Chamonix. Trent’anni dopo (4 settembre 1838) anche la nobildonna Henriette D’Angeville (1794-1871) mise piede sui 4807m della vetta, il che contribuì a farla diventare il polo d’attrazione dei salotti parigini.
Dopo questa breve digressione, veniamo a tempi più vicini a noi per parlarvi di Louise “Loulou” Boulaz (1908-1991), una volitiva alpinista nata sulle rive del lago Lemano, della quale si sono occupate le cronache alpinistiche dell’epoca. “L’alpinismo femminile di tutti i tempi – ebbe a scrivere nel 1986 il giornalista Guido Tonella – ha in questa intrepida scalatrice ginevrina una delle sue più valide rappresentanti”. E molti di noi, penso, siano d’accordo con questa affermazione poiché la passione per la montagna che questa minuscola donna ha dimostrato e l’attività alpinistica da lei svolta, ha veramente dell’incredibile in quanto ha attaccato e vinto delle montagne al cospetto delle quali molti uomini avrebbero sicuramente rinunciato (1).
Ancora molto giovane, siamo nel 1935, con Raymond Lambert compie l’ascensione invernale del Grèpon, effettua la ripetizione dello spigolo Nord della Punta Croz, scala le pareti Nord del Petit Dru e dell’Aiguille du Plan e le Punte Chevalier e De Lèpinei. Poi Loulou, considerato che Lambert è tutto preso dalla professione di guida, deve cercarsi un altro compagno di cordata e lo trova in Pierre Bonnant, uno dei migliori arrampicatori dell’epoca. I due, in perfetta simbiosi, compiono una splendida serie di scalate fra cui, tanto per citarne qualcuna, ricordo la parete Sud del Mont Dolent (prima ascensione), la cresta Sud dell’Aiguille Noire di Peutèrey, il Monte Bianco per la “Via della Pera” sul versante della Brenva e tante altre nei gruppi del Vallese e dell’Oberland Bernese. Nell’estate del 1962 compie anche un tentativo sulla più alta parete delle Alpi, la Nord dell’Eiger, la parete proibita (2). Qui è con Michel Darbellay (che poi nell’agosto del 1963 la salirà in solitaria), Michel Vaucher e la sua compagna Yvette Pilliard, tutti di nazionalità svizzera. Quando però le cordate si trovano all’altezza del “Ragno”, ovvero dopo aver superato i 4/5 della parete, a causa del maltempo, devono rinunciare a quella che sarebbe stata la prima ascensione femminile.
Ma consentitemi di ritornare indietro per raccontarvi della sua prestigiosa scalata sulla via Cassin della Walker alle Grandes Jorasses. Estate del 1952: stante il perdurare del bel tempo, la Boulaz si ritrova con altri cinque amici (tutti provetti alpinisti) e, unanimemente, si accordano per un tentativo sulla via che Cassin ha aperto nel 1938, oggetto di numerosi tentativi negli anni trenta. È impegnativa, lunga, famosa e su di essa si sono misurati i più grandi nomi dell’alpinismo: perché non provare? Gli ingredienti per farne una rilevante salita ci sono tutti! E i sei vanno all’attacco. Essi sono: Eric Gaucat, Marcel Bron, Raymond Dreier, Claude Asper, Pierre Bonnant e naturalmente Luolou Boulaz che si definisce “minuta rappresentante del sesso debole”. Raggiunto Montenvers, sabato pomeriggio 29 luglio, risalgono la Mer de Glace per raggiungere il rifugio Leschaux, posto ai margini dell’omonimo ghiacciaio. “Le mie gambe sono tanto corte – scriverà la Boulaz – che mi sembra di gareggiare in una maratona senza speranze, ad ogni falcata si accresce il mio ritardo sui compagni che calzano stivali delle sette leghe, né quelli dal canto loro mostrano di curarsene troppo”. Così, passo dopo passo, rimane distanziata e procedendo da sola si lascia prendere dai ricordi di 17 anni prima quando con Raymond Lambert aveva scalato la Punta Croz dopo un’epica lotta nella bufera con un bivacco. Ma torniamo ai nostri sei scalatori. All’una del 30 luglio lasciano il rifugio e allo spuntar dell’alba sono alla base dello spigolo. Formano due cordate. La prima vede in testa Gaucat seguito dalla Boulaz e Bonnant, mentre la seconda è guidata da Bron con Dreier e Asper. “L’inizio è brusco – osserva Gaucat – la fessura Rèbuffat, valutata di sesto grado, è l’apriti Sesamo della scalata”. Fa freddo, i sacchi pesano, ma tutto procede normalmente. Sotto le “Lastre Nere” sono costretti ad un pendolo, poi anche le ‘lastre’ sono superate e al calar della sera si trovano nei pressi del secondo bivacco Cassin. Dall’alto si stacca un sasso e va a colpire in pieno petto Bonnant, mentre cominciava a sonnecchiare. Si lamenta ed è scosso da contorsioni, mentre lampi di calore preannunciano il temporale. Verso le cinque cade addirittura la neve.
Tra la preoccupazione generale, viene formata un’unica cordata, mentre Bonnant incoraggia gli amici ripetendo più volte: “Ce la faremo, ce la faremo”. Erico Gaucat, capocordata, riprende la scalata ed è subito impegnato su passaggi esposti e delicati, resi maggiormente pericolosi per la presenza di neve. Improvvisamente un grido viene dall’alto: “Attenti!”. Eric ha smosso una grossa pietra che, dopo pochi metri, fortunatamente si frantuma ma va ad investire chi sta sotto. Loulou riporta una ferita alla fronte che spaventa i compagni nel vederle il viso insanguinato. Dopo sommaria medicazione si riprende. Ora nevica senza sosta, ciònonostante viene superato il colatoio di 80 metri, mentre Eric cede il comando della cordata a Bron. La scalata procede lentamente e verso sera devono apprestarsi al secondo bivacco. Poco sopra scoprono una cengia inclinata sulla quale possono, almeno, trascorrere una notte meno penosa, seppur appesi ai chiodi e ammassati l’uno sull’altro. La neve è cessata, ma un vento gelido irrigidisce gli indumenti già inzuppati. La notte non sembra finire. È un inferno. Finalmente arriva l’alba e Claude Asper che sembra il meno provato, viene posto in testa alla cordata. Si procede sempre lentamente, tuttavia, metro dopo metro, si progredisce fino a raggiungere gli ultimi pendii meno ripidi e soleggiati. Sembra di entrare in un altro mondo. I sei per la mancanza di cibo e bevande sono stremati, ma devono continuare: non ci sono alternative. Ormai sono prossimi ai 4208m della vetta e, a questo punto, leggiamo quanto ha scritto la Boulaz sulle fasi conclusive di questa impegnativa scalata:
“Uno dopo l’altro superiamo la cresta di vetta e ci accasciamo dall’altra parte (3). Siamo vivi, abbiamo vinto, ma nessuno di noi prova l’inebriante sentimento di vittoria”.
Note di redazione:
(1) Loulou Boulaz, tra l’altro, ha partecipato a spedizioni che la condussero nel Caucaso, al confine geografico tra l’Europa e l’Asia, nelle montagne vulcaniche del deserto del Sahara, in Africa, e ,nel 1959, perfino in Himalaya al Cho Oyu, nel Nepal Orientale. Per i colori della nazionale svizzera nello sci vinse la medaglia di bronzo in slalom ai campionati mondiali del 1937.
(2) Le Autorità del Cantone di Berna dopo la catastrofe del luglio 1936 in cui persero la vita 4 alpinisti, dichiararono la parete Nord “zona vietata” minacciando severe sanzioni a chi l’avesse affrontata. In effetti, prima ancora della vittoriosa scalata avvenuta nel 1938, su questa parete avevano già perso la vita ben 8 alpinisti, fra cui gli italiani Mario Menti e Bortolo Sandri.
(3) Si tratta del versante italiano a precipizio verso la Val Ferret.
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