di A.B. La dott.ssa Chiara Frigerio, nella sua ricerca storico-sanitaria, affronta anche un argomento di primario interesse per la storia civica di Lecco, come la costruzione del nuovo ospedale intorno alla metà dell’Ottocento.
Verso il 1830 il borgo di Lecco sentiva sempre più la necessità di un ospedale. Lasciti e donazioni si erano susseguiti negli ultimi decenni; il primo risaliva al 1741, per testamento di don Giambattista Pagani, parroco di Acquate. Le somme raccolte non erano, però, ancora sufficienti a sostenere un’ingente spesa.
Nel 1835, grazie alle donazioni compiute da Pompeo Redaelli ed Antonio Muzzi, fu possibile dare il via al progetto del nuovo ospedale, affidando lo studio al noto Giuseppe Bovara. I lavori di costruzione iniziarono nel 1836, ma l’autorizzazione ufficiale giunse il 3 ottobre 1838. Giuseppe Bovara progettò gratuitamente l’ospedale, attuale sede del municipio, inaugurato in tale veste il 13 aprile 1928 dal re d’Italia Vittorio Emanuele III di Savoia. E’ stata un’inaugurazione che coincise con il decollo della “Grande Lecco”, il 1° marzo 1924. In tale data avvenne l’unificazione a Lecco centro dei Comuni “confinanti o contermini”. Sarà completata nel 1927/1928, con l’aggregazione del Comune di Maggianico, che comprendeva anche l’ex Comune di Chiuso.
Il progetto Bovara – come scrive Chiara Frigerio – prevedeva l’edificazione di quattro cortili porticati, di cui quelli ad oriente delimitavano due costruzioni isolate: l’oratorio (cappella) e la sala anatomica. Del progetto iniziale dell’architetto Giuseppe Bovara fu portata a termine solo una quarta parte, cosicché l’edificio ultimato consisteva in un solo cortile porticato. Difficoltà economiche avevano rallentato il cantiere, tanto che il Bovara, che aveva già gratuitamente messo a disposizione la sua competenza professionale per i lavori, ritenne opportuno aggiungere una sua personale offerta per pagare le colonne del portico.
La ricerca della dott.ssa Chiara Frigerio menziona don Vittorino Cremona, che ha avuto un ruolo importante nell’ospedale e che era il cappellano dello stesso. L’ospedale aveva una chiesetta (cappella o oratorio) dedicata a Santa Maria del Presepio, da un dipinto esistente di Panfilo Nuvolone. Il 23 giugno 1845 vennero solennemente accolte all’interno della cappella reliquie del Beato Pagano; Pietro Fedele Pagano era un religioso domenicano nato a Lecco nel 1205 e trucidato il 26 dicembre 1277 a Colorina, presso San Pietro Berbenno, in provincia di Sondrio, da due sicari eretici. Le reliquie vennero consegnate al prevosto di Lecco, Antonio Mascari, ed al cappellano dell’ospedale don Vittorio Cremona, dal vescovo di Como mons. Carlo Romano, in quanto i resti del martire erano custoditi nel territorio diocesano che aveva visto il suo nobilissimo sacrificio. Oggi, dove c’era la cappella di Santa Maria al Presepio, si trovano uffici del settore Lavori Pubblici e Territorio. Il palazzo Bovara rimase ospedale sino all’ottobre 1900.
L’adeguamento del palazzo a sede municipale, nel 1927, si deve all’allora ingegnere capo del Comune Iosto Braccioni, sepolto nel monumentale di via Parini.
La presenza nella cappella dell’ospedale delle spoglie mortali del Beato Pagano, eroico testimone di fede, suggerì ai giovani cattolici “nostalgici” dell’ultimo Papa Re Pio IX, di dedicare al martire il Circolo papalino che stavano costituendo. I giovani intendevano continuare a combattere contro i nemici della Chiesa, come aveva fatto il Beato predicatore domenicano. Il Circolo venne colpito da provvedimenti di Polizia, tra il 1898 ed il 1901; ebbe periodi di chiusura e di imposta cessata attività per comportamenti ritenuti eccessivamente “barricadieri” verso il Regno d’Italia e le autorità costituite in Roma capitale.
Il Circolo Beato Pagano uscì di scena dopo l’arrivo a Lecco, nel gennaio 1907, del nuovo prevosto don Luigi Vismara. E’ stato don Vismara, nel riorganizzare la realtà parrocchiale e nell’affidare l’oratorio San Luigi al nuovo assistente don Luigi Verri, a chiedere ai giovani papalini lo scioglimento del Circolo dopo 23 anni di nostalgiche proteste nel nome del Papa Re. Un nuovo vento soffiava, comunque, su tutta la situazione non solo cittadina, anche con il declino per, ormai, logorati miti risorgimentali e garibaldini. E, guarda caso, la cappella del nuovo oratorio di don Luigi Verri, nel 1909 viene dedicata all’Immacolata Concezione, il grande dogma del Pontefice Pio IX, nel 1854. Era un palese appello a privilegiare la dimensione dottrinale, spirituale e pastorale del Pontefice, rispetto al ruolo di un sovrano temporale.
Alcuni ritengono che la chiesetta dell’oratorio sia dedicata a San Luigi, per i sei affreschi del 1915, corrispondenti ad altrettanti episodi di vita del patrono della gioventù, dalla nativa Castiglione delle Stiviere all’opera eroica di assistenza tra i colpiti di epidemia, in Roma.. La chiesetta dell’oratorio è, invece, dedicata alla Madonna Immacolata ed è stata ufficialmente consacrata nel 1909. Potrebbe essere, quest’ultimo argomento, un nuovo motivo per ulteriori ricerche della dott.ssa Chiara Frigerio. Perché il dogma dell’Immacolata Concezione, memoria di Pio IX?
Dott.ssa Chiara Frigerio
(Laurea Triennale in Infermieristica
Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche
Master in management e coordinamento delle professioni sanitarie
Iscritta al Collegio IPASVI della Provincia di Lecco dal 2009)
“Analisi critica ed interpretazione di una fonte storica inerente l’assistenza infermieristica lecchese: Regolamento e Pianta Morale Del Civico Spedale di Lecco (anno 1844)”
1. Introduzione
L’archivio storico della Città di Lecco attualmente non è fornito di materiale inerente la storia
dell’assistenza in senso pratico: i documenti risalenti al periodo compreso tra il 1741 ed il 1900
sono solo relativi a lasciti, donazioni, testamenti o ad atti locali puramente amministrativi. Sono
inoltre presenti i disegni di pianificazione architettonica del primo Ospedale di Lecco a cura
dell’arch. Giuseppe Bovara (Lecco,1781-1873).
L’Ospedale di Lecco ha alle spalle una tradizione assistenziale di 250 anni di storia. Purtroppo, a
causa di due trasferimenti e cambi di edifici, il primo nell’anno 1900 ed il secondo tra il 2001 ed il
2003, numerosi documenti storici sono andati persi, buttati od addirittura rubati. E’ per questo
motivo che attualmente l’Ospedale Manzoni di Lecco è in possesso di un archivio povero e
manchevole dal punto di vista della numerosità del materiale. Tuttavia, grazie all’attenzione e alla
meticolosità di pochi interessati, alcuni atti e documenti sono stati conservati.
La prima fase di ricerca è quindi stata svolta presso l’archivio dell’Ospedale di Lecco con la
collaborazione del Sig. Pietro Scaioli, referente aziendale per il suddetto archivio.
Ha attirato la mia attenzione un regolamento risalente al Dicembre 1844 inerente l’organizzazione
e la gestione ospedaliera del tempo. Il documento in questione ha come titolo “Regolamento e
Pianta Morale del Civico Spedale di Lecco” (ALLEGATO 1).
Dopo una prima lettura del documento e attraverso numerose riproduzioni fotografiche, lo stesso è
stato riscritto fedelmente in modo da rendere l’analisi e l’interpretazione più fruibile (ALLEGATO 2).
2. Corpo
2.1 Tipologia della fonte e contesto di ritrovamento
Il documento, risalente alla prima metà del 1800, è stato reperito presso l’archivio dell’Ospedale
Manzoni di Lecco ove sono presenti documentazioni ed atti inerenti la storia ospedaliera della città.
Lo stesso è stato ritrovato all’interno di una cartella di cartoncino di colore blu riportante sul
frontespizio la scritta “Regolamenti dal 1845”.
Il regolamento analizzato, secondo la classificazione di Droysen del 1960, risulta essere un avanzo
essendo stato scritto dagli uomini del tempo al fine di provvedere all’immediata necessità di
disciplinare l’organizzazione e l’attività del Civico Spedale di Lecco.
Secondo il criterio di “emissione-dipendenza”, la classificazione dell’origine del documento è
primaria. Per quanto riguarda invece l’identificazione di “forma-trasmissione” il regolamento in
questione è una fonte scritta di tipo documentario.
2.2 Verifica di autenticità della fonte nei meccanismi estrinseci ed intrinseci
Meccanismi estrinseci
Il documento è un manoscritto cartaceo scritto con inchiostro a china e, come era usanza,
tamponato con sabbia al fine di permettere l’impregnazione della carta. La carta, color “panna”
risulta essere spessa e consistente; presenta righe distanziate circa un centimetro l’una dall’altra
segnate manualmente con riga e matita (tratto leggero simil-grafite grigio chiaro). In base al
periodo storico di riferimento si desume che la carta utilizzata sia stata prodotta a partire dagli
stracci. Infatti solo nel 1844 Federico Gottlob Keller ottenne la pasta di legno meccanica sfibrando
per la prima volta il legno con mole di pietra. Invece al 1882 risale il procedimento Ritte-Kellner e al
1883 quello di Dahl, che aprì la via alla cellulosa e al solfato per la produzione di carta .
L’”avanzo” è un fascicolo costituito da quattro fogli protocollo rilegati da un cordino giallo e marrone
annodato nel mezzo. In ogni foglio, centralmente, a livello della dodicesima e della
ventiquattresima riga sono presenti due piccoli fori per il passaggio del cordino. Tale embrionale
rilegatura permette ai fogli di restare uniti e piegati a metà, costituendo quindi sedici facciate
compresi il frontespizio e la pagina finale. Le pagine non sono numerate ma l’ordine di lettura è
garantito dalla numerazione dei singoli capi ed articoli e dalla rilegatura stessa. Il foglio di
protocollo misura 44 cm di larghezza e 31 cm di altezza e, conseguentemente, ogni singola
facciata ha dimensioni di 22 cm di larghezza e di 31 cm di altezza.
L’orientamento delle pagine è verticale ed ogni facciata, divisa verticalmente da una piega
longitudinale, risulta scritta solo nella metà destra. Questa pratica era messa in atto al fine di poter
segnare eventuali correzioni nella parte sinistra del foglio. Le uniche due eccezioni sono l’articolo
5, in cui sulla parte sinistra del foglio è riportata un’aggiunta con asterisco, e l’articolo 38 in cui si
nomina per esteso la “Farmacopea economica Porali ad uso dell’Opera Pia di S. Pietro M.e presso
Barlassina”.
Escludendo i margini superiori ed inferiori, ogni riga della carta è stata utilizzata per la scrittura,
senza lasciare alcuno spazio tra capi ed articoli. Ciò è riconducibile al fatto che voleva essere
scongiurata ogni manomissione o modifica del regolamento da parte di non autorizzati.
Sulla parte superiore del frontespizio è riportato il titolo del documento in nove righe centrali. Nella
stessa pagina inferiormente si trova la scritta “Per l’archivio” barrata da una croce (dal tratto e
dall’inchiostro sembra un segno praticato a posteriori nel tempo). Nell’angolo inferiore sinistro del
frontespizio viene segnalato da quanti fogli è composto il documento.
Sulla seconda facciata, posteriore al frontespizio, non compare alcuna scritta. Analogamente
l’ultima facciata, corrispondente alla pagina finale, è bianca.
Nella penultima pagina, al termine del capo IX, si trovano il luogo e la data (Lecco li 31 Dicembre
1844) con la firma dell’amministratore del tempo, il sacerdote Vittorino Cremona. La firma
dell’amministratore posta in calce si distingue dal resto del testo per un’evidente differenza di
grafia. Tale firma risulta essere barrata con due segni diagonali paralleli analoghi alla croce sulla
scritta “Per l’archivio” sul frontespizio.
I nove capi in cui è suddiviso il regolamento sono esplicitati in numeri romani aventi ai lati destro e
sinistro due linee, la superiore più spessa mentre l’inferiore più sottile. Segue il titolo dei diversi
capi e la numerazione dei diversi articoli, cinquantatre in totale. Tale numerazione è in numeri
tradizionali preceduta dal simbolo § e puntata (esempio: §.40.) . La numerazione degli articoli
prosegue da “1” a “53” senza riprendere sempre da “1” con il susseguirsi dei diversi capi.
Nella penultima facciata sono ben visibili due tabelle, una superiore ed una inferiore, disegnate con
lo stesso tipo di inchiostro del testo. La tabella superiore presenta sei colonne mentre quella
inferiore cinque. Entrambe sono numerate (N.1 ed N.2) e centralmente sono provviste di titolo.
Lo stile di scrittura dell’intero regolamento è il corsivo tipico del tempo, ordinato e leggermente
inclinato verso destra. Durante la lettura è possibile rilevare tratti tipici del linguaggio e della
scrittura del tempo quali l’utilizzo della “s lunga” (_), i termini “Spedale”, “Luogo Pio”, “seco”, “pei”,
“officii” ed “I.R. Delegazione” (I.R.:Imperial Regia).
Meccanismi intrinseci
Nel Regolamento del 1844 emerge quanto la moralità fosse di centrale importanza in quel periodo
storico, tanto da essere citata nel titolo e in alcuni articoli (esempio:§24). In associazione alla
moralità, anche la fede cattolica giocava un ruolo importante nella società del tempo: nell’articolo 4
viene citata due volte e un intero capo, l’ottavo, è dedicato all’assistenza religiosa. Tale pratica era
affidata al Parroco e ai Coadiutori del luogo.
Dal testo si evince il voler rammentare che gran parte dell’assistenza era dovuta alla beneficienza
(cfr. §2-a), §7 e §24). Tettamanzi (1987) afferma che nella prima metà del 1800 venne riconosciuto
come interesse immediato ed ineliminabile l’aspetto assistenziale. Andavano capovolti i termini
della questione rispetto al 1700: lo spirito laico proponeva di superare il tradizionale modo di
pensare e di agire a sollievo dei miserabili basato sulla “pietas” cristiana per abbracciare il nuovo
desiderio di filantropica virtù e beneficienza. La beneficienza intende quindi sostituirsi alla carità:
mentre la prima trae forza dalla pietà e dal desiderio di amministrare nel migliore dei modi i beni
affidati da Dio, la seconda è basata sull’amore per gli uomini e sul desiderio di rendersi utili. I ceti
privilegiati, come dimostrano la storia e l’evoluzione dello stesso Ospedale di Lecco, si sentono
sospinti nel campo assistenziale.
Il soccorso ai poveri, per il quale la Comunità affrontava numerose spese (rimborsi agli ospedali,
sussidi di latte, sussidi straordinari di pane o denaro, pensioni), avveniva anche attraverso la
collaborazione delle parrocchie e di alcune congregazioni laiche. Fino al 1849 gli attestati di
povertà e di miserabilità, necessari per ottenere un sostegno economico pubblico, venivano
rilasciati dai parroci della città, ai quali era riconosciuto un ruolo civile di fondamentale importanza.
Anche se i certificati dovevano essere controfirmati dai commissari del Governo, tuttavia "l'autorità
decisiva" era quella dei parroci, che si facevano garanti non solo delle condizioni di indigenza, ma
anche della buona moralità dei loro parrocchiani.
Altro punto saliente è l’impostazione rigorosa per le procedure burocratiche e di autorizzazione, più
volte presenti nel testo: registrazioni, visti e certificazioni con firma erano all’ordine del giorno ed
ogni figura operante all’interno della struttura aveva un ruolo ben definito.
La firma in calce al documento è di Vittorino Cremona (Lecco,1773-1850). Su numerosi testi di
storia locale viene citato il nome di questo sacerdote, già amministratore del Luoghi Pii
elemosinieri a Lecco dal 1827, che tanto si prodigò al fine di realizzare l’ospedale e del quale
divenne amministratore. Presso l’archivio dell’Ospedale di Lecco è stato ritrovato un libercolo di
nove pagine dal titolo “Il sacerdote Vittorino Cremona. Cenni biografici” scritto dal “Prete G. C.” in
cui si trova riscontro delle attività svolte dal religioso a favore del Luogo Pio (ALLEGATO 3). Inoltre
si è presa visione di un documento intitolato “Associazione per un monumento onorario al Sacerd.
Vittorino Cremona”; tale associazione aveva lo scopo di raccogliere fondi per la creazione di un
monumento (busto) in ricordo del sacerdote (ALLEGATO 4).
Vengono nominati inoltre tre benefattori: Antonio Muzzi, Pompeo Redaelli ed il Legato Pagani (cfr.
§2). Antonio Muzzi, era un commerciante locale che donò 40.000 lire milanesi per la costruzione
dell’ospedale. Pompeo Redaelli donò il terreno su cui edificarlo mentre al legato Pagani era
destinato il pagamento del Medico Chirurgo (Tettamanzi, 1987).
In due articoli (§38 e §43) viene citata la “Farmacopea economica Porali ad uso dell’Opera Pia di
S. Pietro M.e presso Barlassina”. La “Farmacopea economica ad uso dell’Opera pia di San Pietro
Martire presso Barlassina , compilata sulle norme della Farmacopea de' Poveri precedentemente
impiegata nel L. P. suddetto. — Milano,1824, dalla tipografia e libreria Manini, in 8.°, di pagine
178” è un libro diviso in due parti. Nella prima si comprendono i medicamenti naturali o
somministrati dal commercio; nella seconda contiensi la descrizione de' medicamenti preparati.
Fra i semplici e i naturali cercò l'autore di scegliere le sostanze meno costose ed i processi meno
complicati (Vari letterati, 1824) (ALLEGATO 5).
La tabella presente nella parte superiore della penultima facciata riguarda la pianificazione delle
attività durante la giornata e suddivisa per i diversi mesi. Questa puntigliosa programmazione era
certamente riconducibile al fatto che si volessero sfruttare il più possibile le ore di luce. Infatti
l’intera Lecco, dal 1° gennaio 1844, era illuminata da sole dodici lampade ad olio e per gli interni
delle case e degli stabilimenti venivano utilizzati lumi artigianali o candele (Bonfanti, 2007).
2.3 Collegamenti tra la fonte, contesto di ritrovamento e la storia dell’assistenza
Negli anni 1844-1845 Lecco era sotto il Governo Austriaco e la sua popolazione ammontava a
circa 3500 abitanti (Bonfanti, 1998).
Il ritorno del Governo Austriaco in Lombardia avvenne dopo che Napoleone abdicò nel 1814 e a
seguito della firma di accordo del vicerè Eugenio Beauharnais con l’Austria. Questo aveva quindi
segnato la successiva costituzione del regno Lombardo-Veneto il 7 aprile 1815. Nonostante le
premesse negative, la restaurazione austriaca non sembrò impostata alla repressione ma
piuttosto, al tentativo di riorganizzare la “pubblica amministrazione”.
Dopo il 1825 con lo scioglimento della Congregazione della Carità, i luoghi pii non riottennero la
completa autonomia di cui godevano nel secolo precedente: il governo austriaco volle strutturare la
delicata materia della pubblica assistenza mantenendo la distinzione tra enti ospedalieri,
assistenziali ed elemosinieri per permettere un agile intervento sugli stessi (Rossetto, 2000).
L’ospedale di Lecco ebbe una nascita travagliata. Nel 1741, con proprio testamento, don Giovanni
Battista Pagani dispose che gran parte delle sue sostanze fossero utilizzate allo scopo di istituire
un ospedale a Lecco. Alla sua morte, nel 1768, si apre il testamento. Le contestazioni degli eredi
naturali e la politica amministrativa del tempo, contraria alla concentrazione dei beni di natura
ecclesiastica, limitò ad un quinto il lascito a favore dell’ospedale. Tale limitazione non consentì la
realizzazione dell’ospedale.
Tra il 1820 ed il 1830 non era quindi davvero nuovo il progetto di erigere un ospedale nel borgo di
Lecco. Ancora una volta solo il mondo ecclesiastico avrebbe saputo realizzare un’efficace
intermediazione per reperire le risorse necessarie. Essenziale fu la disponibilità del legato Antonio
Muzzi, ricco commerciante locale, che devolse la somma di lire milanesi 20.000 con l’obbligo di
convertirli nella costruzione dell’ospedale. Difficile risultò comunque il reperimento dell’area su cui
erigere l’edificio: occorse l’appassionato attivismo del sacerdote Vittorino Cremona, dal 1827
amministratore del Luoghi Pii elemosinieri, che nel 1835 convinse il Nobile Pompeo Redaelli a
donare un suo terreno. Nello stesso anno lo stesso Muzzi devolse altre 20.000 lire milanesi,
sperando di stimolare con il proprio esempio altri cittadini, purtroppo senza grandi risultati
(Rossetto, 2000).
I lavori di costruzione iniziarono nel 1836 ma l’autorizzazione vera e propria giunse con il
“Dispaccio Governativo del 3 ottobre 1838”.
L’architetto Giuseppe Bovara, uomo di spicco nella Lecco del tempo, progettò gratuitamente
l’Ospedale, chiamato poi Palazzo Bovara ed attuale sede del Municipio di Lecco. Il progetto
dell’architetto lecchese prevedeva la edificazione di quattro cortili porticati, di cui quelli ad oriente
delimitavano due costruzioni isolate, l’oratorio e la sala anatomica. Del progetto iniziale fu portata a
termine solo una quarta parte cosicché l’edificio ultimato consisteva in un solo cortile porticato.
Difficoltà economiche avevano rallentato il cantiere tanto che Bovara stesso, dando ulteriore prova
della sua ben nota generosità, offrì la somma di lire 3.200 milanesi per pagare le ultime dieci
colonne del portico (Benini, 1996).
2.4 Interpretazione della fonte
Chi eroga assistenza
Dal regolamento si rileva facilmente la presenza di infermieri maschi e femmine. Era inoltre
presente la suddivisione gerarchica di infermiere primo ed infermiere secondo. Gli infermieri primi
“non avranno altra incombenza che della continua assistenza dè malati della propria sala” (cfr.
§48) mentre l’infermiere secondo “si presterà pei bisogni straordinari della sala, servirà alla cucina
e agli altri bisogni dello stabilimento. Si presterà egualmente pei bisogni della sala, e servirà per
lavare e rattoppare la biancheria” (cfr. §49, §50)
Altri compiti infermieristici erano l’occuparsi della biancheria personale degli infermi (§13, §15), il
provvedere agli istantanei bisogni dei malati permanendo in sala con loro (§19), il vigilare sugli
ingressi nelle sale (§27).
“Il servizio medico verrà prestato dal Medico Chirurgo stipendiato dal Comune di Lecco e dal
legato Pagani, nonché dal Medico Chirurgo supplente stipendiato dal Comune per i poveri del
Comune di Lecco” (cfr. §34). Il medico era tenuto a visitare gli ammalati ogni mattina ed ogni
qualvolta lo ritenesse opportuno l’infermiere (§37). Inoltre i medici erano responsabili della
prescrizione farmacologica (§38, §43), della compilazione della tavola nosologica (§42) e
dell’assegnazione di classe e vitto dei malati (§32, §33 e T. II°).
Il farmacista era il responsabile della qualità dei farmaci e della loro somministrazione (capo VII).
Nel documento viene citato anche il parroco che, assieme ai coadiutori del luogo, era il
responsabile dell’assistenza religiosa.
Per quanto riguarda l’amministrazione si parla dell’Amministratore e del f.f. di Direttore.
L’abbreviazione “f.f.” significa “facente funzioni” e, al tempo, era utilizzata per definire colui al quale
era affidata la carica e non, come ai giorni nostri, il “sostituto”.
A chi viene erogata assistenza
“I poveri del solo comune di Lecco avranno diritto di essere ricevuti nello Spedale senza alcuna
contribuzione (…) Nei casi di eventuali disgrazie però si accorderà l’ammissione anche di quei
miserabili estranei al Comune”(cfr. §2). Quindi il regolamento agli articoli 2 e 3, in conformità alla
volontà dei promotori dell’opera pia, riservava il diritto di ricovero gratuito unicamente ai poveri del
comune di Lecco ed inoltre rimarcava la necessità di una documentazione medica e di una
attestazione di miserabilità rilasciata dal parroco. Erano esclusi dallo stabilimento “gli affetti da
malattie croniche, incurabili, epidemiche, i pazzi, le partorienti”(cfr. §5); tuttavia i malati cronici
erano ammessi pagando la quota giornaliera di £ 1.50 (§6). Le persone assistite vengono definite
nel regolamento come malati, infermi, poveri, miserabili.
Luogo dove viene erogata l’assistenza
Il luogo dove viene erogata l’assistenza viene citato attraverso diversi vocaboli: Spedale, Luogo
Pio, Ospedale, Stabilimento.
Si parla inoltre di “sale”, una per gli uomini ed una per le donne, ciascuna con quattordici posti letto
(§18). Nel testo possiamo ritrovare altre tre sale: una sala con quattro posti letto per coloro che
necessitavano cure particolari (§20), una sala per i malati che desideravano essere curati
separatamente (§21) e una sala definita “stanza mortuaria” che fungeva da camera mortuaria e da
sala autoptica (§23).
Concetto di assistenza
Di particolare interesse sono gli articoli riguardanti la disciplina dei malati. La legislazione
dell’ospedale imponeva che fosse diligentemente osservata la separazione dei maschi e delle
femmine e che venissero immediatamente esclusi dall’assistenza giocatori ed altri elementi
indesiderabili. Quindi, come era abitudine in quel periodo storico, l’assistenza era diversificata per
sesso e gli infermieri assistevano gli uomini mentre le infermiere assistevano le donne (§18, §19). I
ricoverati nello Spedale erano assistiti continuamente, notte e giorno, dagli infermieri primi (§ 19,
§48).
Per i malati era attivo un servizio di lavanderia, non solo per la biancheria ospedaliera ma anche
per gli effetti personali; gli abiti venivano lavati e rattoppati e quelli non necessari durante il ricovero
venivano custoditi con precisione presso il guardaroba (§13, §15, §49, §50).
Era diritto dei miserabili ricevere tre pasti al giorno: colazione, pranzo e cena. Ad ogni persona era
prescritta dal medico una dieta consona al suo stato di salute: i trattamenti dietetici fruibili erano
quattro ed ognuno era delineato scrupolosamente in base a tipo e quantità di cibo (Tab. N. 2).
Ogni malato veniva visitato dal medico ogni mattina ed ogni qualvolta lo ritenesse opportuno
l’infermiere (§37).
Per i malati venivano impiegati medicamenti ed inoltre venivano somministrati farmaci. Il
responsabile della prescrizione era il medico mentre la somministrazione era compito del
farmacista (§38, capo VII).
L’assistenza religiosa per i malati era di centrale importanza durante il ricovero ed era affidata al
Parroco ed ai suoi Coadiutori (capo VIII).
3. Conclusioni
Interessanti riflessioni si possono trarre a seguito dell’analisi del documento: all’interno dello
Spedale erano di centrale importanza la moralità, la fede e la disciplina tanto che, in assenza di
anche solo una di queste, gli assistiti erano tenuti a lasciare il Luogo Pio.
L’autonomia degli infermieri era limitata a causa della dipendenza -funzionale e gerarchica- dai
medici. Numerose attività che oggigiorno sono di competenza infermieristica, nel 1845 erano
portate avanti dalle altre figure; per esempio le medicazioni e le diete erano di totale gestione
medica e la somministrazione farmacologica era affidata al farmacista. Tuttavia l’infermiere, come
al giorno d’oggi, assisteva i malati continuamente, nelle ore diurne ed in quelle notturne.
Si può quindi affermare che, nella Lecco di quel periodo, si era ancora lontani dal concetto di
autonomia professionale infermieristica, nonostante gli infermieri fossero ritenuti figure basilari per
l’assistenza ai malati. L’assistenza sanitaria ruotava attorno alla centrale professionalità medica
che su tutto vigilava e comandava.
Nonostante il cammino compiuto con una presenza autorevole dello Stato ed una interpretazione
del problema non più su basi di esclusivo dovere cristiano, alla metà del XIX secolo non si è
ancora giunti al concetto di assistenza come dovere dello Stato o di un suo vero interesse e
certamente non al concetto di un diritto del cittadino all’assistenza (Tettamanzi, 1987).
Il lavoro svolto rafforza l’opinione che conoscere la storia della professione infermieristica è
piacevole e fruttifero per gli infermieri. Inoltre conoscere le proprie origini favorisce
l’apprezzamento delle piccole e grandi conquiste professionali che si possono evidenziare in ogni
epoca storica, anche in quella attuale.
Si conclude con una citazione del celebre oratore romano Cicerone che nel De Oratore della
storia diceva “Historia est testis temporume, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia
vetustatis” (La storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita,
nunzia dell’antichità).
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