di Renato Frigerio “The Playground of Europe”, raccolta di articoli comparsi su varie riviste, tra cui l’ “Alpine Journal”, fu pubblicato da Leslie Stephen per la prima volta nel 1871 edito a Londra da Longsmann Green & C. e successivamente nel 1895. Un’edizione francese, tradotta da Claire Eliane. Engel, inglese, vide la luce a Parigi e Neuchatel (editore Attinger) probabilmente nel 1934. Esiste l’edizione italiana, “Il terreno di gioco dell’Europa, scalate di un alpinista vittoriano”, pubblicata nell’ottobre del 1999 da Vivalda, Collana “I Licheni”.
La straordinaria figura dell’autore merita qualche cenno biografico. Nato a Londra nel 1832, figlio di un ex Ministro delle Colonie, poi professore di storia a Cambridge. Stephen, studiò al King’s College e a Cambridge, e seguirà le orme del genitore ricoprendo la carica di docente alla Trinity Wall di Cambridge nella facoltà di matematica prima e letteratura e storia poi. Fu ordinato sacerdote dalla chiesa anglicana nel 1859. Filosofo e critico, incline a forme di scetticismo e di libero pensiero mutate da Hume, Bentham e Stuart Mill, ripudiò gli ordini nel 1875. Dal 1882 diresse l’edizione del “Dictionary of National Biography”, gigantesco repertorio elaborato con cura critica impeccabile.
Nel 1867 aveva sposato Harriet Marian, detta Minnie, figlia di William Makepeace Thackeray, conosciuta l’anno precedente a Zermatt. Dopo la morte della moglie Marian nel 1875, si risposò nel 1878. Dal suo secondo matrimonio in unione con Julia Jackson, nacque nel 1882 Adeline Virginia, la celebre narratrice Virginia Woolf, che si affermò soprattutto per i due romanzi: “Mrs. Dalloway” del 1925 e “To the Lighthouse” nel 1927.
Nominato baronetto nel 1902, Stephen, morì a Londra il 22 febbraio 1904, ammalato di cancro.
La sua iniziazione all’alpinismo avvenne come per molti suoi contemporanei, con la traversata del Colle del Gigante, da lui compiuta nel 1855. Dopo di allora compì numerose scalate, all’epoca di grande impegno. Molte sono le prime ascensioni, tra cui ricordiamo: Eigerjoch (3760m) nell’Oberland Bernese e Rimpfischhorn (4199m), cresta Ovest, nelle Alpi Pennine, nel 1859; Blumisalphorn (3664m) e Schreckhorn (4078m), nell’Oberland Bernese, Alphubel (4206), cresta Est, alle Alpi Pennine, nel 1860; Monte Bianco (4807m) , a tutt’oggi la normale dal versante francese, via per il Dome du Gouter, per la cresta des Bosses (con Francis Fox Tuckett); e nell’Oberland Bernese lo Schreckhorn (4087m), Allalinhorn (4027m), nel 1861; Jungfraujoch (3475m) all’Oberland Bernese, Fiescherjoch (3654m) e poi nelle Alpi Retiche occidentali, il Monte Disgrazia (3678m), per la cresta Nordovest (insieme alla guida alpina svizzera Melchior Anderegg), nell’agosto 1862; Zinalrothorn (4221m) per la cresta Nord e Lyskamm occidentale (4480m), per la cresta Ovest, con traversata alla Cima orientale (4526m) sul gruppo del Monte Rosa, Zinalrothorn (4221m), cresta Nord, alle Alpi Pennine, nel 1864; Cima di Ball (2802m), nelle Dolomiti alle Pale di San Martino, in solitaria, nel 1869 (percorso ora attrezzato e divenuto ferrata Nico Gusela); la Fradusta (2937m) da Nord col valligiano Francesco Colesel, alle Pale di San Martino, sempre nel 1869; l’ancora inviolato Mont Mallet (3988m) nel 1871; la solitaria alla Dent d’Oche (2225m) nel 1873; la prima traversata del Col des Hirondelles (3480m) dal versante di Chamonix a quello di Courmayeur, sempre nel 1873, che deve a Stephen il suo tenero nome. Infatti l’appellativo Col de Hirondelles, mostra la vena poetica di Stephen, il quale, nel cavalcare con i compagni il Colle, vide uno stormo di rondini volteggiare nel cielo; Galenstock (3597m), nelle Alpi Bernesi del Cantone di Uri, in Svizzera, prima ascensione invernale,con Gabriel Loppè, il 22 gennaio 1877.
Leslie Stephen appartiene ad una generazione che potremmo definire la prima vera generazione di alpinisti. In effetti, Stephen rappresentò, assieme ad Edwuard Whymper, John Tyndall e pochi altri il grande alpinismo inglese dell’Ottocento,
La data di nascita dell’alpinismo è ufficialmente fissata all’8 agosto 1786, quando Jacques Balmat e Michel Gabriel Paccard raggiunsero la vetta del Bianco. Ma “Le voyages dans les Alpes” del loro mentore, Horace Bènèdict de Saussure, rassomigliano più allo “Italienische Reise” di Goethe che alla letteratura di montagna propriamente detta.
La giustificazione delle spedizioni successive era o voleva essere prevalentemente scientifica, come testimonia l’immancabile presenza d’un ingombrante barometro nel bagaglio di ogni serio alpinista. Poi la magniloquente prosa del londinese John Ruskin, i suoi deliri sulle “cattedrali della terra” e sulle “tombe degli arcangeli”, avevano bollato d’infamia chiunque osasse profanare la sacralità delle montagne e non si ponesse al livello, piuttosto basso per altro, di Ruskin stesso che, incapace di salirvi, ammirava le vette dal fondovalle, riempiendosi tuttavia l’anima di “una grande voglia di piangere”.
Ma nel 1875 l’ “Alpine Club” recupera prestigio ed occupa una posizione di rispetto negli alpinistici mondiali. Come detto, una generazione di veri alpinisti si affaccia ora ai contrafforti delle Alpi: oltre a Stephen, John Tyndall (aveva scalato da solo il Monte Rosa), Edward Whymper, il vincitore del Cervino, John Ball, vincitore sul Monte Pelmo e sulla Marmolada di Rocca, nelle Dolomiti, Edward Shirley Kennedy e Thomas Stuart Kennedy, William Douglas Freshfield, Francis Fox Tuckett, Hermann von Barth, uno dei più grandi pionieri delle Alpi Orientali, e tanti altri. Banditi finalmente barometri e arcangeli, per questi uomini l’alpinismo è uno sport, come il cricket o il canottaggio, dirà Stephen nell’ultimo capitolo di “The Playground of Europe”, in cui il gioco è semplice e la partita è vinta se si raggiunge la vetta, persa se si è costretti alla ritirata. Certo il “terreno di gioco” (estremamente significativo è l’uso del termine “playground”) è meraviglioso, capace, per la sua bellezza, di soddisfare raffinate e profonde esigenze spirituali, ma sempre avendo l’accortezza di restare coi piedi ben piantati per terra, perchè staccarli troppo, per esempio, da un ripido pendio di ghiaccio potrebbe essere un’esperienza tutt’altro che piacevole, anche se “non così lunga da diventare monotona”. Stephen si rammarica di non riuscire a sentire sulla vetta dello Schreckhorn o sul Colle della Jungfrau “una grande voglia di piangere”, distratto com’è dal pensiero della cena che lo attende al ritorno o dal desiderio del materasso morbido dell’albergo. A questo punto occorre una breve nota sullo stile letterario di Stephen.
La prosa delirante di Ruskin si stagliava di fronte agli scrittori dell’ “Alpine Journal” come abominevole esempio da rifuggire. Ne seguì un’evidente tendenza verso uno stile estremamente semplice, da diario di vacanza. Stile che, tuttavia, al di là della moda contingente, ben si confaceva allo spirito e al carattere di Stephen, al suo scetticismo filosofico e al suo distacco aristocratico. Se cerchiamo infatti i proverbiali “humor” e
“understatement” britannici, in Sir Leslie ne troviamo un modello perfetto. Le descrizioni del paesaggio, misurate ma capaci di evocare sensazioni profonde e commosse, sono state giustamente paragonate a preziosi acquerelli, in cui i colori forti si stemperano in una composizione delicata e piena di grazia, gli stati d’animo non raggiungono mai i toni di esaltazione o di angoscia, nemmeno nei momenti più eccitanti o più drammatici di una scalata, poiché sempre un’arguzia, un motto di spirito, una battuta autoironica vengono pronte a smorzare la tensione. Così che, se le confrontiamo con le scalate descritte nella posteriore letteratura alpinistica, le imprese di Stephen possono sembrare semplici passeggiate o escursioni goliardiche. La modestia e lo spirito dell’autore non debbono tuttavia trarre in inganno nel valutare le reali enormi difficoltà che tali imprese presentavano a quei tempi, con le conoscenze, le tecniche e gli strumenti di allora. I primi sei capitoli del libro descrivono altrettante prime ascensioni compiute dall’autore: lo Schreckhorn, il quattromila più difficile delle Alpi Bernersi, lo Zinalrothorn, l’Eigerjoch, lo Jungfraujoch, il Fiescherjoch, il Weisshorn, l’Allalinhorn, il Rimpfischhorn, l’Alphubel, e il Col des Hirondelles. Il settimo capitolo descrive un’ascensione al Monte Bianco compiuta in un orario insolito, con l’obiettivo di assistere al tramonto dalla vetta. Sono forse le uniche pagine del libro, in cui Stephen si lascia andare a toni più carichi e più densi di emozione. L’avanzare delle ombre della notte sul deserto di vette innevate e sulle profondità delle valli richiama, pur nella misura classica dello stile, i drammi di antiche teologie e le mitiche lotte tra le forze primordiali della luce e delle tenebre, ed il ricordo corre ai versi di Esiodo o agli antichi miti dell’Iran e della Mesopotamia. Ma subito nel capitolo successivo, il registro torna quello scanzonato usuale forse anche più del consueto. Vi si narra di alcune facili ascensioni compiute dall’autore, nel 1886, nei Carpazi Orientali, a Nord, al confine fra Polonia meridionale e Slovacchia, e la descrizione dell’ambiente umano del bacino delle Alpi di Transilvania, a Sud, popolato di funzionari polacchi, lerci monaci greco-ortodossi, ladri invisibili, ribaldi improbabili, vetture nelle quali i cinque occupanti “parlano quattro lingue diverse, neppure imparentate tra loro”, per tacere delle pulci e di altre simili delizie, raggiunge toni di spassosa comicità. Per concludere, “The Playgrounf of Europe” è un libro che, per la sua pacata misura e per la sua indulgente ironia, mantiene ancora viva, dopo quasi centocinquanta anni, tutta la sua freschezza. Leggerlo è come sdraiarsi al sole, sui pascoli della Wengernalp, di fronte alle cime innevate dell’Oberland centrale, in un silenzioso mezzogiorno alpino d’estate.
LESLIE STEPHEN (1832-1904)
Biografo e uno dei più illustri critici letterari dei suoi giorni, Stephen aveva sposato, in prime nozze, la figlia minore dello scrittore William Makepeace Thackeray, conosciuto come autore del famoso libro “La fiera delle vanità”.
Da studente Stephen era un corridore e un camminatore assiduo e ciò giovò molto alla sua carriera alpinistica.
La sua prima vera stagione (aveva già visitato le Alpi, ma come turista) fu quella del 1858, sei settimane in compagnia di Edward Shirley Kennedy, Rev. John Frederick Hardy e Thomas Woodbine Hinchcliff, durante le quali fece la prima traversata del Wildstrubel Mittelgipfel. Fu l’inizio di una straordinaria carriera di prime ascensioni.
Notevole fu la sua campagna sui giganti dell’Oberland Bernese, impostata sulla conquista alpinistica delle ultime vette, quelle più difficili.
Stephen fu anche il primo scrittore ad occuparsi di storia dell’alpinismo: abbandonando l’autobiografismo e le relazioni a fattore scientifico.
Nel 1871 pubblicò “The Playground of Europe”, una raccolta di pezzi giornalistici di alpinismo, con la maggior parte dei quali aveva collaborato all’ ”Alpine Journal”, il primo giornale sull’alpinismo. Questo libro è uno dei classici della letteratura alpinistica.
Fu presidente dell’Alpine Club, club degli alpinisti inglesi, di natura sociale, fondato nel 1858, dal 1866 al 1868.
Nel 1882 nacque la famosa scrittrice e letterata Adeline Virginia Woolf, figlia di Leslie Stephen, conosciuta con il cognome del marito Leonard Woolf.
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