di Giovanni Alessi
Non per nulla ella dedica questo pregnante testo “A tutte le donne del mondo che, come Flaminia, vivono, hanno vissuto e vivranno la preclusione a riappropriarsi della loro identità, a “togliere i sigilli della propria casa di pena, per riaprire i sensi sui fiumi di sole”, affinché l’amore per sé stesse abbia, alfine, il sopravvento”.
Ho già avuto modo di evidenziare come la Marini sappia cogliere i “segni dei tempi”, facendo emergere i profondi traumi psicologici indotti da distruttive relazioni affettive. Ma il suo j’accuse è volto soprattutto a deprecare l’inaudita violenza , di cui la donna è vittima, militando in sua difesa da sempre.
Nella prefazione altresì si legge: “Flaminia è un’eroina tragica, che brucia del suo stesso fuoco. In quel suo volo d’angelo spezzato ricorrono alla memoria e al cuore del lettore frammenti di altrettanti volti, storie, sensazioni, sofferenze, dolorosi incontri col Destino. Ci si interroga se l’esperienza frustrante di Flaminia bambina-ragazza, vissuta all’interno di una famiglia – “normale” in termini tradizionali – che le tarpa continuamente le ali, le violenze subite da donna sposata fra le pareti domestiche, se tutto questo può davvero rimanere racchiuso nell’involucro rassicurante di una storia inventata, o tracimi invece in ripetute eco di vita quotidiana, concreta, vissuta da ciascuno, sia pure con epiloghi diversi, o anche solo partecipate nelle vicende vissute da altri.
Lei, Flaminia, quasi novella protagonista di quei drammi delle tragedie greche, in cui il coro spiegava agli spettatori attoniti e angosciati, in una sorta di catartica consolazione, che contro la sorte e gli dei, nulla può il potere umano. A noi, lettori del Duemila, nessun coro riesce a spazzar via quel sentimento di impotenza e compassione – nel senso più alto del termine, il “patire insieme” – che ci prende una volta conosciuti tutti i risvolti di questa dolorosa vicenda umana. L’escamotage per superare la profonda pena è forse suggerito nelle righe conclusive dalla stessa autrice, racchiuso nelle parole del professor Raimondi, psichiatra della vittima: cercare di rintracciare in ogni persona che incontriamo un po’ della vita e dell’anima di Flaminia. Per vivere con più “verità” l’esistenza, per comunicarla agli altri, per non dare mai per scontato cose o eventualità; per tendere una mano a chi ne ha davvero bisogno, aggiungiamo noi”.
Le ultime pagine del libro, infine, laddove la narrazione si tinge tragicamente di giallo, ci danno la misura della perizia della Marini nel cimentarsi nelle descrizioni più drammatiche e crude. E si comprende come la critica letteraria Michela Magni su “Viennepierre Edizioni” abbia commentato a suo riguardo: “Nello scavo sempre più impietoso dello scandalo dell’esistere, la voce di Germana Marini, poeta, intellettuale, scrittrice di alta cultura, si libra forte e sincera, facendosi interprete delle angosce del nostro tempo”.
Mentre Giuseppina Luongo Bartolini sulla Rivista culturale “Silarus,”, recensendo “Eternare l’amore” ha scritto:
“Davvero notevole l’abilità narrativa di questa scrittrice, in grado com’è di padroneggiare situazioni e risvolti psicologici con rara bravura, fotografando un mondo carico di suggestioni per chi ama l’intreccio, l’indagine introspettiva, la dialettica degli opposti.
Il gioco dei sentimenti, le repressioni subite, l’amore frainteso nei dettagli scoperti, fanno parte del vissuto dei suoi personaggi, dei quali libera l’umanità più profonda, e che sul lettino dell’analista aprono il discorso contemporaneo che contempla la ben nota scissione dell’io”.
Chiudono la carrellata due ultimi giudizi: quello di Claudio Toscani su “Avvenire”, e di Vittorio Franchini sul “Corriere della sera”:
“Germana Marini è capace di una scrittura di assoluta trasparenza, assistita da grazia interiore e da tenace volontà di messaggio”.
“La scioltezza linguistica di questa prolifica autrice, che ha al suo attivo una vasta produzione letteraria, l’estrema vivacità e quel modo così originale di esprimersi, non possono che affascinare il lettore”.
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