di Germana Marini - L’anno 2020 sembrava aver visto la luce sotto una propizia stella. Levati i calici, si erano formulati voti di ogni bene e letizia, ma già a metà gennaio una sindrome influenzale tenace e subdola aveva fatto la sua comparsa, vanificando norme igieniche prudenziali e vaccini, le complicanze della quale avevano preso a bersaglio segnatamente gli anziani, per quanto concerne l’apparato respiratorio. Finché in Cina si era verificata l’esplosione – e successiva esponenziale diffusione – di quel micidiale flagello rappresentato dal “Coronavirus”, o “Covid-19”, che avrebbe in un battibaleno infestato tutti i Paesi del mondo, con in testa l’Italia, e la Lombardia in specie, facendo registrare un numero esorbitante di decessi.
Il che aveva indotto il Governo a prendere provvedimenti drastici, riguardo il territorio lombardo e altre province italiane. Era stata parimenti imposta la sospensione di tutte le attività remunerative, dei centri culturali, ricreativi, sportivi, con il risultato di seminare fra la gente il panico, determinante il forsennato assalto ai Supermercati, onde rifornirsi di scorte industriali di vettovaglie, nonché la fuga, severamente vietata, al sud, colà propagando a macchia d’olio il male.
Quale ultima ratio, l’indefettibile sanzione a non uscire di casa senza serio motivo: unico accorgimento atto a tutelarsi dal morbo. E più i contagi divenivano inarginabili, e maggiori misure restrittive venivano poste in atto, seguite da vibrate proteste per la preclusione della gente a potersi guadagnare il pane quotidiano, e le ineluttabili conseguenze in termini di povertà generalizzata e sgomentante.
Le pandemie hanno sempre accompagnato il cammino dell’uomo. Alcune, tra cui la peste, il vaiolo, il colera, la tubercolosi, hanno cambiato la storia dell’umanità per i loro effetti demografici, economici e sociali. Pandemie che terrorizzavano, seminando migliaia di morti, giacché i decessi in massa promuovono il senso della catastrofe, del flagello, della fine collettiva. Relativamente al “Covid-19”, poi, per esplicita ammissione della classe medica ed infermieristica, ha comportato l’inqualificabile scelta di chi intubare (e salvare), causa la penuria di idonee attrezzature, basata sull’età dell’individuo, penalizzante gli anziani, a favore di quelli di età giovanile e media.
Per non parlare dei trapassi in totale abbandono, senza il conforto di una cara presenza al fianco.
In tanta desolazione, un lato positivo soltanto, a livello generale e psicologico si coglie: il ridimensionamento di tante assillanti problematiche che ci complicavano l’esistenza, di quelle vane ambizioni in ordine di autoaffermazione e rassicuranti consensi, che improntavano i nostri, mal spesi, giorni. Il ritorno al Padre di tanti acclamati artisti, ha avuto il folgorante potere di farci scoprire la provvisorietà dell’essere, di cui immortale altro non è che l’anima, da salvare ad ogni costo, insieme a quei valori umani, che avevamo storditamente persi.
Diciamo anche che, segregati nei rispettivi alloggi, i componenti la famiglia si sono ritrovati a misurarsi con situazioni di natura affettiva e psichica, che la quotidiana assenza per lunghe ore da casa, onde assolvere gli impegni lavorativi e scolastici, aveva vietato di fare, fino a quel momento, emergere. Sicché, a fronte di unioni matrimoniali irrimediabilmente compromesse, non poche si sono avvalse di un insperabile rinvigorirsi, comprovato dalle numerose testimonianze piovute sulla scrivania di rubrichiste, operanti nelle redazioni delle riviste femminili più in voga.
Zona rossa, zona gialla, zona arancione, auspichiamo non rimangano a breve che un ricordo, a dispetto del crescente, giustificato allarme, che sembrerebbe deporre per l’opposto, ma qualcosa di positivo questo implacabile, famigerato virus ha comportato, malgrado tutto!
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