L’attuale chiusura dei centri estetici in Lombardia porterà una perdita complessiva di fatturato del settore pari a 30 milioni di euro per il solo mese di novembre, che sommata agli effetti del lockdown di primavera arriva a 113 milioni di euro, pari al 31,2% del fatturato annuo.
È questa la stima fatta dall’Osservatorio MPI di Confartigianato Lombardia, che ha valutato gli effetti del blocco dell’attività delle oltre 8 mila imprese lombarde, in cui lavorano 14 mila addetti. Un settore caratterizzato da un’elevata presenza femminile (l’87,5%) e da una forte vocazione artigiana (sono artigiane il 75,1% delle imprese del settore).
Il calo stimato, che unisce le perdite subite tra marzo e giugno, pari a 87 milioni di euro, a causa del mix tra lockdown e concorrenza sleale, agli effetti della chiusura al momento prevista fino al 3 dicembre, conferma come le imprese lombarde stiano subendo un forte contraccolpo dalla crisi Covid-19: circa due terzi del calo del fatturato del settore dell’estetica nelle cinque regioni oggi zona rossa vengono registrati proprio in Lombardia.
“La nuova chiusura delle attività di estetica nelle zone rosse penalizza e mette a rischio imprese già provate dal lockdown primaverile, che nonostante le difficoltà hanno continuato nei mesi successivi ad offrire i propri servizi con professionalità e grande attenzione al rispetto delle linee guida igienico-sanitarie approvate dalla Conferenza delle Regioni, per garantire la tutela degli imprenditori, dei loro collaboratori e dei clienti. – afferma Sandra Landoni, Presidente del Gruppo Regionale Estetiste di Confartigianato Lombardia - Ai danni della prima chiusura prolungata e ai costi sostenuti per continuare ad operare nella massima sicurezza si sono aggiunte peraltro le ulteriori perdite derivanti dalla concorrenza sleale degli operatori abusivi. Operatori che, già esercitando in assenza delle prescrizioni di legge sia sul piano formativo che igienico-sanitario, in quel frangente hanno oltretutto rappresentato ancor più di sempre un serio rischio per la salute dei cittadini. Temiamo che la nuova chiusura possa portare con sé anche una nuova impennata dell’abusivismo, insieme alle evidenti difficoltà economiche per le imprese che esercitano questa professione nel pieno rispetto delle regole. Noi siamo pronti a fare quello che la situazione sanitaria richiede, come avvenuto finora, ma chiediamo quanto meno di conoscere le motivazioni per cui si sia deciso di chiudere le attività di estetica e non altre affini come i parrucchieri”.
In questo settore caratterizzato da un’elevata vocazione femminile (87,5%) si verifica con particolare evidenza come la crisi Covid-19 colpisca e abbia colpito in misura maggiore le imprenditrici rispetto agli imprenditori. Evidenza ribadita anche da un recente sondaggio dell’Osservatorio di Confartigianato Lombardia, da cui emerge come il virus stia effettivamente ampliando le differenze tra mondo maschile e mondo femminile, anche nei risultati d’impresa. I dati relativi alla dinamica del fatturato difatti mostrano perdite più ampie per le MPI e imprese artigiane gestite da donne rispetto a quelle con a capo un imprenditore uomo, con un decremento dei ricavi a svantaggio delle prime più ampio di 10 punti. Differenza determinata anche dal fatto che le donne operano per lo più nei Servizi, in particolare in quelli del benessere, settore caratterizzato ad aprile da un lockdown tra i più lunghi e settore che anche nella fase di riapertura ha continuato a subire perdite causa del cambio di abitudini, maggiore diffidenza ed elevata propensione al risparmio dei consumatori finali e a causa della riduzione del numero di clienti da poter ospitare nel salone e del numero di dipendenti in servizio in osservanza delle linee guida dei protocolli di sicurezza.
Ulteriore gap rispetto alle performance di fatturato lo si rileva anche tra le stesse imprenditrici, che spesso ricoprono anche il ruolo di care giver (di figli e/o anziani/persone non autosufficienti): molte imprenditrici oltre alle difficoltà generali scaturite dalla diffusione del virus hanno dovuto, e devono, far fronte ad ulteriori difficoltà nel riuscire a conciliare tempi di cura e di lavoro– causa chiusura delle scuole o attivazione della didattica a distanza, difficoltà accesso a centri ospedalieri e chiusura/ assenza o ridotta attività di altre strutture di supporto alla cura di figli e/o anziani/persone non autosufficienti. Questo influisce naturalmente sul risultato d’impresa: le imprenditrici che riscontrano difficoltà nella conciliazione in media hanno registrato un calo di fatturato maggiore di 6,6 punti rispetto alle colleghe che non hanno riscontrato alcun problema. La crisi Covid-19 ha dato ulteriore evidenza dell’elevata correlazione tra tasso occupazione femminile e la presenza e diffusione sul territorio di strutture di supporto alla conciliazione: senza le ultime la prima componente inevitabilmente si contrae, aumentando la platea di donne costrette a stare fuori dal mercato del lavoro.
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