di Renato Frigerio - A Bad Aussee, graziosa borgata sulle rive di un piccolo lago, contornato da verdi distese di piccole dimensioni, e dominata dalla severa parete della Trisselwand, è nato Paul Preuss colui che sarà considerato uno fra i più grandi alpinisti di tutti i tempi. Era il 19 agosto 1886. Paul Preuss nasce dunque quando la vetta del Monte Bianco è già stata conquistata esattamente da un secolo. Come si ricorderà, infatti, furono Michel Gabriel Paccard e Jacques Balmat a calcarne la vetta l’8 agosto 1786. In questo lasso di tempo tutte le maggiori cime delle Alpi erano state raggiunte e quasi tutti i grandi alpinisti dell’epoca erano nel pieno della loro attività: da Ludwig Purtscheller a Julius Kugy, da Michele Innerkoffler a Matthias Zurbriggen, tanto per citarne qualcuno. E su quelle cime vi erano arrivati seguendo la via più semplice, giusto per soddisfare quel senso di conquista che è insito nell’uomo. Ma l’alpinista non è mai pienamente appagato di ciò che ha fatto ed ambisce incontrare per vincere difficoltà sempre maggiori, così pareti verticali, diedri a strapiombo e spigoli vertiginosi diventano un’attrattiva più che allettante per le nuove generazioni che stanno emergendo. Sicuramente il primo esponente di questo nuovo modo di fare alpinismo è stato il sedicenne Georg Winkler che dopo aver salito la Cima della Madonna e la Cima di Ball nel gruppo delle Pale di San Martino, scalò la Croda dei Toni e la Croda Rossa d’Ampezzo per raggiungere poi, per primo ed in solitaria, l’arditissima guglia della Torre meridionale del Vajolet, nel gruppo del Catinaccio, che oggi viene giustamente chiamata “Torre Winkler”. Era il 17 settembre 1887. Precursore del moderno alpinismo, Winkler perderà la vita, seppellito da una valanga, due anni dopo mentre scalava, in solitaria, la gigantesca parete Ovest del Weisshorn di 4505m (Corno Bianco) e il suo corpo riapparve nel 1956 sul ghiacciaio del Weisshorn, sul versante Nord delle Alpi Pennine.
Nella quiete di Bad Aussee, pittoresco angolo viennese delle Alpi austriache compreso tra le sorgenti del Traun e le rive dell’Enns, nell’alta Stiria, dove i Preuss possedevano un villino e vi trascorrevano le vacanze, Paul, da ragazzino, faceva lunghe camminate col padre e nonostante il suo fisico denotasse condizioni di gracilità, mostrava tuttavia una certa resistenza alla fatica. Morto improvvisamente il padre nel 1896 continuò a fare escursioni con le sorelle Mina e Sofia rispettivamente di 12 e 13 anni. Con Mina cominciò poi ad avvicinarsi alle cime dei monti che coronano la piana di Aussee. L’adolescenza precoce, piena di attività e iniziative, contribuì a farlo maturare e a fornirgli quel bagaglio di esperienza che si rivelerà utile nel prosieguo della sua futura attività alpinistica. Preuss è stato un alpinista completo: fortissimo nelle scalate su roccia, fortissimo nelle ascensioni su ghiaccio. Non c’è montagna che non abbia scalato: dalle Alpi occidentali ai gruppi dolomitici per lui non v’era differenza. Preuss fece anche difficili scalate nell’Ortles, ma non scalò nelle Alpi Occidentali fino al 1912, quando conobbe Oscar Johannes Ludwig Eckenstein, che gli insegnò altre tecniche per arrampicare su ghiaccio. Fece la prima ascensione della cresta Sudest dell’Aiguille Blanche de Peutèrey (4112m) e aveva progettato di tentare l’integrale della Cresta Peutèrey nel 1914 (non fu scalata fino al 1935, mentre la sola Cresta di Peutèrey nel 1927 fu superata ad opera di L. Obersteiner e
K. Schrener; la prima solitaria dell’Integrale fu vinta nel 1984 da Christophe Profit).
Nelle occidentali sale sul Monte Bianco, sul Rosa e sullo Zinalrothorn, che lo attraversa da Mountet a Zermatt. Poi, da solo, scala il Cervino (4478m) per la cresta dell’Hornli e non sufficientemente appagato perfeziona l’impresa scendendo per la cresta del Leone attraverso le morene del Furggen fino all’Oriondè (2802m), costeggia la base del monte e per il Passo del Teodulo sale sul Breithorn occidentale (4165m).
Un bell’exploit: due “4000” in un sol giorno.
Ma anche sulle cime dolomitiche ha mostrato la sua grande abilità ed il suo valore. Per tutte citerò solamente la salita al Campanile Basso di Brenta che risulta essere uno dei suoi capolavori e per dirla con Lehner “Tracciò la sua orma luminosa e raggiunse col suo ardire e la sua eccezionale capacità il massimo limite delle possibilità sulla roccia, salendo per primo l’impressionante parete Est e da solo”. Da solo senza chiodi né corda in 2 ore! Ma torniamo a questa scalata di Preuss. 28 luglio 1911. Alle otto, mentre alto splende il sole, Paul e Mina Preuss con Paul Relly, attaccano il primo tratto verticale, attraversano la parte inferiore della parete Est e si portano sul versante Nord. Da qui superano alcuni camini e giungono sulla grande cengia chiamata “lo stradone provinciale”. A questo punto la via prosegue a destra ma Preuss volge a sinistra per un’esile cornice intendendo esplorare la parete. È in pieno vuoto, col capo rivolto all’insù. “Che cosa hai visto?” – gli chiede Mina – “Poco…”, risponde. Torna sui suoi passi, libera i compagni dalla corda e raccomanda loro di non muoversi e di non fare movimenti bruschi. Fanno uno spuntino, poi Paul, corda a tracolla e senza alcuna assicurazione, sparisce al di là dello spigolo ed inizia a salire quegli ultimi 120 metri che lo separano dalla vetta. Qui la verticalità è assoluta. Dopo due ore è in cima e sul libro di vetta scriverà: “Ascensione difficile ed esposta”. È stata l’ottantatreesima salita. La seconda scalata, solitaria e senza mezzi artificiali (alla maniera di Preuss, per intenderci) l’ha compiuta un altro grande, Emilio Comici, nel giugno del 1936 e anche Cesare Maestri, il famoso “Ragno delle Dolomiti”, nel 1969 la ripeterà da solo rimanendo esterrefatto nel constatare che su questa bellissima via erano stati infissi ben 25 chiodi, in media uno ogni cinque metri. Paul Preuss, dopo un breve e meritato riposo, lascia la vetta, e scende, sempre in arrampicata libera, dai compagni che poi, quasi subito, conduce sulla vetta per la via normale. Alle cinque del pomeriggio rientrano nuovamente nel rifugio che avevano lasciato la mattina alle sette.
Fino al 1907 Preuss ha compiuto oltre mille scalate, alcune delle quali sui monti della Stiria, del Salisburghese, del Silvretta, del Dauchstein e della Carinzia e mai ha piantato chiodi nella roccia. L’unica volta in cui è venuto meno a questo suo principio è stato nel corso di un tentativo, poi fallito, di tracciare una via diretta sulla parete della Trisselwand. Ma questo lo ha fatto dietro insistenza dell’amico Hans Hudl (guida di Aussee) per offrire maggior sicurezza a Grete Loew, graziosa fanciulla che faceva parte della cordata. Dal 28 luglio al 5 settembre del 1911 compie un lungo raid ed in 40 giorni raggiunge la vetta di 52 cime comprese nei gruppi di Brenta, del Catinaccio, del Sassolungo e delle Tre Cime di Lavaredo. Nel solo gruppo del Catinaccio, in 5 giorni, sale tutte e tre le Torri del Vajolet per undici vie diverse. Era davvero instancabile! Alcuni mesi prima della sua morte il C.A.I. di cui era socio, lo invita a tenere alcune conferenze a Milano, Torino e Genova. La sua istruzione (era dottore in filosofia dell’Università di Monaco), la sua arguzia e il suo brio lo rendevano simpatico e piacevole nell’esposizione degli argomenti trattati, pertanto le serate si tramutavano in altrettanti successi. Durante questo soggiorno italiano, approfittando del tempo libero, un bel giorno si porta ad Aosta dove s’incontra con l’amico Willy Bernuth. Insieme, senza tanti indugi e sci ai piedi, risalgono la Valsavaranche e raggiungono il rifugio Vittorio Emanuele (2775m), da dove l’8 aprile 1913, sempre con gli sci, salgono sulla Tresenta (3609m) e dopo due giorni sarà la vetta del Gran Paradiso ad accogliere i due sciatori-alpinisti. Annoterà Preuss sul libro del rifugio “Roc di Gran Paradiso (4026 m) - Gran Paradiso (4061 m) – sky – con W. Bernuth, 10 aprile 1913”. Si è trattato di una salita impegnativa (pensate agli sci e agli attacchi di allora) e di una discesa vertiginosa su neve fresca. Questo non lo ha scritto Preuss ma saranno i moderni campioni dello sport della neve a dirlo mezzo secolo dopo. Non passano che 48 ore, trascorse sempre al Vittorio Emanuele per il cattivo tempo, ed eccoli di nuovo partire alla volta del Ciarforon (3642m) per compierne la traversata con piccozza e ramponi. Sulla vetta ghiacciata sosteranno a lungo.
Che Preuss fosse fortissimo l’ho già detto: vediamo ora cosa dicevano o pensavano di lui i grandi dell’epoca. Hans Dulfer: “Sommo maestro”; Franz Nieberl: “L’alpinista più completo del mondo alpino”; Stigler: “Un genio dell’arrampicamento”; Willo Welzenbach: “L’alpinismo di Preuss è un unico, al di fuori di ogni classificazione”; Tita Piaz: “Fu il più grande alpinista di tutti i tempi”; ed infine Emilio Comici, venuto alla ribalta molto tempo dopo: “Il dominatore della montagna dallo stile inconfondibile”.
Poi arrivò quel tristissimo 13 ottobre 1913, giorno in cui il ventisettenne Paul Preuss, nel tentativo di scalare sulle Prealpi Salisburghesi in prima ascensione solitaria la cresta Nord del Manndlkogel, nel Gosaukamm, perse la vita. Ma a questo proposito leggiamo quanto il vicentino Severino Casara ha scritto sul doloroso episodio: “…Il tempo s’offusca. Un grigio strato di nubi vela l’azzurro. Lo spigolo è vinto. Per due ore s’è librato sull’aereo profilo. Mancano pochi metri alla cima. Superato un formidabile strapiombo, si china ad erigere un nuovo ometto di sassi. Gelide raffiche di vento percuotono le rocce. Sta attraversando la parete sul vuoto più assoluto per introdursi nella fessura sommitale, quando improvvisa e violenta scoppia la bufera. Un turbinio di nevischio lo sferza e lo acceca. Tutte le ire dell’inverno precoce si sfogano sulla cima e l’incredibile accade. Nella furia vorticosa degli elementi il suo corpo, strappato come un fuscello, precipita nella gola vorace. Paul Preuss non è più. Trecento metri più in basso lo copre un sudario di neve”.
Box
PREUSS PAUL (1886-1913)
Nella storia dell’alpinismo, riassume tutte le possibili qualità dell’uomo di montagna: rocciatore, ghiacciatore, sciatore. È l’alpinista che ha raggiunto il V grado in solitaria, senza chiodi.
Malgrado sia scomparso in giovane età, conta un’infinità di ascensioni di cui ha anche scritto su riviste austriache specializzate. Da ricordare innanzitutto l’impresa in solitaria del 28 luglio 1911, nelle Dolomiti, sul versante Est del Campanile Basso di Brenta, parete che ora porta il suo nome. Sempre nel gruppo di Brenta il primo agosto 1911, in compagnia di Paul Relly, apre un difficilissimo itinerario sulla grandiosa parete Nordnordest del Crozzon di Brenta.
Sulla Cima Piccolissima delle Tre Cime di Lavaredo, con Paul Relly, traccia un bellissimo itinerario sulla parete Nordest, il 6 settembre 1911.
Entra nella leggenda il 13 ottobre 1913 quando non fa più ritorno dallo spigolo della Nord del Manndlkogel.
Nessun commento:
Posta un commento