La testimonianza di padre Pierbattista Pizzaballa, nominato il 24 ottobre da papa Francesco patriarca di Gerusalemme dei Latini, che aveva incontrato i partecipanti al pellegrinaggio lariano del 2005
di Claudio Redaelli
“Dopo gli anni della paura, la gente vedeva nel riapparire dei pellegrini un ritorno alla normalità. E ne ricavava un senso di respiro, una promessa di pace che, purtroppo, si è rivelata di breve durata. Soprattutto nelle comunità cattoliche palestinesi rinascevano la speranza e la gioia di non sentirsi più sole”.
Scriveva così, nel 2006, monsignor Carlo Calori introducendo il libro del giornalista Claudio Bottagisi Argentina e Israele - Diario di viaggio pubblicato a cura delle Edizioni Monte San Martino di Lecco. Parole, quelle dell’allora vicario episcopale per la città di Como, su cui riflettere anche a distanza di anni.
Il pellegrinaggio cui monsignor Calori faceva riferimento e che Bottagisi aveva raccontato nel suo libro si era tenuto nel 2005. Era la prima estate in cui riprendevano appunto i viaggi in quelle terre dopo cinque anni durissimi di intifada, di attacchi e ritorsioni tra palestinesi e israeliani.
Dalle pagine del “diario” emergeva un intreccio di documentazione e di luce interiore e un altro pregio - per dirla sempre con le parole di monsignor Calori - era la nota di incantato stupore che emergeva da ogni pagina per le persone, per i riti, per gli incontri e le memorie. Note che davano tonalità al racconto, senza forzature.
E non a caso il parroco della comunità comasca di San Fedele affermava: “Chi lo legge avrà un motivo in più per augurare la pace ai due popoli che vivono in quella terra tragica e splendida. E, se ha fede, per aprire l’anima alla preghiera perché, nel deserto dei sentimenti umani, essa possa diventare giardino dove fioriscano la giustizia, il diritto, la sicurezza e la pace”.
Da Israele all’Argentina per Claudio Bottagisi il passo era stato breve. Un altro viaggio e altre pagine di un diario che capitolo dopo capitolo, immagine dopo immagine, invogliava il lettore a desiderare di percorrere a sua volta gli itinerari da lui tracciati.
A “spiegare” il Paese sudamericano, prima che Bottagisi ne raccontasse fascino e misteri attraverso il suo reportage, era stato Giorgio Cavalleri, storico e scrittore comasco, il quale non aveva esitato a scrivere che l’autore del libro “ha l’entusiasmo del viaggiatore ma anche la consapevolezza di chi conosce a fondo le vicende del Paese che sta visitando”.
“Partecipa intensamente - osservava Cavalleri - dei problemi, delle contraddizioni, dei drammi e delle speranze dell’Argentina e degli argentini e le sue riflessioni rappresentano uno stimolante invito al lettore più attento a visitare, con lo stesso interesse e la medesima profondità di analisi, quel grande e fascinoso Stato”.
Numerose erano state, nelle settimane e nei mesi successivi all’uscita del libro, le testimonianze di apprezzamento pervenute a Bottagisi. Significative, tra le tante, quelle del cardinale Carlo Maria Martini da Gerusalemme, dell’allora arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, del senatore Giulio Andreotti, del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e di Massimo D’Alema. L’allora ministro degli Esteri aveva parlato di “un ideale viaggio e di un’immersione nei colori e negli sconfinati spazi della terra argentina” e di “emozionanti immagini della Terra Santa e di Gerusalemme, densi di spiritualità e di speranza”.
“Il processo di pacificazione in atto, così difficile e delicato - aggiungeva D’Alema nel messaggio indirizzato all’autore del libro - va coltivato con impegno e fiducia per giungere attraverso il dialogo a una civile convivenza e a un futuro più sereno”.
A restituire attualità a quel volume e in particolare alle pagine dedicate al viaggio in Israele è ora una nomina prestigiosa: quella di padre Pierbattista Pizzaballa a patriarca di Gerusalemme dei Latini, di cui da quattro anni era amministratore apostolico.
Nell’estate 2005, infatti, in occasione del pellegrinaggio in Terra Santa delle comunità parrocchiali di San Fedele in Como e di Olgiate Comasco padre Pizzaballa - classe 1965, originario di Cologno al Serio, provincia e diocesi di Bergamo - aveva incontrato i partecipanti a quel viaggio sulle strade del Vangelo, aggiungendo per così dire ulteriore significato a un itinerario di per sé di grande fascino, vissuto attraverso luoghi e situazioni di forte intensità emotiva e spirituale.
In quegli anni padre Pizzaballa era custode di Terra Santa e guardiano del Monte Sion, incarico che era stato chiamato a svolgere nel 2004 e da lui ricoperto ininterrottamente fino al 2016.
La sua azione pastorale si sarebbe contraddistinta negli anni per equilibrio e spiccata capacità strategica e diplomatica. Nella complicata quanto delicata mediazione tra lo stato di Israele e le autorità palestinesi aveva favorito il dialogo con tutte le forze presenti nel territorio, garantendo in tal modo la presenza della comunità cristiana in Terra Santa.
La sua voce è stata in effetti tra le più ascoltate nell’intricato mondo politico-religioso proprio della Terra Santa, tanto che nel maggio 2014 papa Francesco gli avrebbe affidato l’incarico di organizzare l’incontro di preghiera tra il presidente israeliano Shimon Peres, il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen e il pontefice stesso, alla presenza del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, incontro svoltosi poi l’8 giugno di quello stesso anno.
Si è detto dell’incontro del 2005 dei pellegrini lariani con padre Pierbattista Pizzaballa. Avvenne nel convento di San Salvatore a Gerusalemme e monsignor Carlo Calori, guida spirituale del viaggio, gli aveva chiesto innanzitutto di spiegare quali erano le difficoltà incontrate dai cristiani in quella realtà e di soffermarsi sul significato dei pellegrinaggi e su come gli stessi potessero essere condotti nel modo più corretto.
Padre Pizzaballa aveva spiegato che i cristiani erano soltanto il 2% del totale della popolazione, costretti a vivere con salari in molti casi non adeguati al costo della vita. Inevitabile, poi, il riferimento alla diminuzione proprio del numero dei pellegrinaggi che si era accompagnata agli anni della paura seguita alla seconda intifada. “L’economia della zona si è impoverita - aveva detto padre Pizzaballa - e il tenore di vita di numerose famiglie si è abbassato”. “Così oggigiorno - aveva aggiunto - non è raro incontrare gente che circola in Mercedes e tuttavia bussa alla porta delle parrocchie per chiedere i buoni pasto”.
Ecco allora l’importanza dei pellegrinaggi, “che portano benessere e lavoro”. “Dopo il 2000 vi è stata desolazione - aveva osservato sempre il religioso - e a ciò si è accompagnata una situazione di malessere. In presenza di un conflitto così lacerante qual è quello in atto in Medio Oriente, del resto, vi è la tendenza a schierarsi da una parte o dall’altra. La presenza di pellegrini, invece, ci aiuta a mantenere un giusto equilibrio, ad alzare lo sguardo e a non chiuderci dentro la nostra sofferenza”.
Richiamando quanto ebbe a dire Paolo VI, primo papa dopo San Pietro a visitare da pellegrino quei luoghi, il frate francescano aveva parlato della Terra Santa come del “quinto Vangelo” e osservato che “conoscere la sua storia, il suo ambiente e la sua geografia contribuisce in modo efficace a una più vitale comprensione del messaggio della Sacra Scrittura”.
“E la pace?”, gli aveva chiesto un pellegrino. “Servono identità chiare e ben definite - aveva risposto padre Pizzaballa, come riportato fedelmente da Bottagisi nel suo reportage - per far sì che il dialogo possa essere facilitato. Chi parla oggi di accordi di pace fa semplicemente retorica, perché la pace deve essere “costruita” e questi luoghi non possono essere patrimonio esclusivo di qualcuno”.
E ancora: “La Palestina non ha un suo sistema giuridico e amministrativo, dunque il terreno va preparato in modo adeguato, a iniziare dalla scuola. E’ lì che occorre piantare il seme del dialogo e della tolleranza per arrivare appunto a “costruire” una mentalità di pace”.
Nel 2006, come detto, la pubblicazione del libro Argentina e Israele - Diario di viaggio proprio per raccontare anche quel pellegrinaggio. E nelle settimane successive all’uscita del libro padre Pizzaballa aveva scritto a Bottagisi che “ricordare un pellegrinaggio in Terra Santa, per chi la grazia di poter svolgere il “ministero” dell’arte, è anche saper trasmettere notizie ed emozioni e quindi contagiare l’amore che si prova verso questa nostra Terra, che ha così bisogno di essere amata e capita”.
“Che l’affetto si trasformi in preghiera - aveva aggiunto il Custode di Terra Santa - e che l’incessante invocazione di pace su Gerusalemme ci aiuti a tenere alta la speranza di un futuro di giustizia”.
Ora la notizia della prestigiosa nomina di padre Pizzaballa da parte di papa Francesco riporta a quel pellegrinaggio, a quella pubblicazione e a quello scritto indirizzato a Bottagisi dal religioso di origini bergamasche, dal 24 ottobre - come ricordato in apertura - patriarca di Gerusalemme dei Latini. Con un’annotazione, ossia che il Patriarcato ha giurisdizione sui cattolici di rito latino residenti in Israele, Palestina, Giordania e Cipro. La sua sede è a Gerusalemme e “abbraccia” un territorio suddiviso in 71 parrocchie, raggruppate in sei vicariati.
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