di Gianfranco Colombo «Non mi sono fermato al bla-bla-bla della predicazione. Questa teologia la lascio a chi vuole, a me è sembrato importante mettermi subito ad agire per liberare i poveri. Così abbiamo fondato le colonie agricole. Noi abbiamo fatto la nostra rivoluzione non con Marx in mano, ma con il Vangelo.
La teologia della liberazione noi l’abbiamo realizzata così». Sono le parole di padre Augusto Gianola nell’intervista di Enzo Biagi andata in onda su Rai1 il 27 novembre del 1989. Questo grande “uomo di Dio” sarebbe morto l’anno dopo a Lecco. Sono già passati trent’anni, ma il ricordo di questo missionario continua a restare vivo. Padre Augusto Gianola nacque a Lecco nel rione di Laorca il 5 novembre del 1930. Primo di cinque figli entrò in seminario nel 1947 e fu ordinato sacerdote dal cardinale Ildefonso Schuster nel 1953. Sino al 1961 fu viceparroco a Locate Varesino e dopo un anno a Verano, entrò nel Pime come missionario. Amante della montagna, aveva fondato a Locate Varesino il gruppo alpinistico dei “Centpè”, che con lui compirà numerose ascensioni sulle montagne lecchesi e sulle vette delle Alpi. Nel 1963 partì da Genova su una nave da carico per Macapá e Parintins , nell’Amazzonia brasiliana. Qui rimase, tranne per brevissimi periodi, per 27 anni. Diede tutto se stesso a queste comunità: fondò scuole professionali, colonie agricole, costruì chiese.
Visse anche circa un anno in assoluto isolamento, una sorta di eremitaggio nella terra del Paratucú. Tornò quindi dalla sua gente e nel 1989 gli fu riscontrata la lebbra, da cui guarì. Padre Augusto si spense circa un anno dopo, il 24 luglio del 1990 a Lecco per un male incurabile. Sulla sua tomba si legge: «Sono felice, perché vado a vedere in pienezza Colui che ho tanto cercato». Cinque anni fa, si tenne a Lecco una mostra fotografica curata da Gerolamo Fazzini (testi) e Mariangela Tentori (grafica), per celebrarne i 25 anni dalla morte. Fu anche pubblicato da Teka Edizioni un elegante catalogo con una sintetica biografia del missionario e un'antologia di testi di padre Gianola. Il volume riportava anche un contributo del cardinale Angelo Scola, che diceva tra l’altro: «Questo libro è per me l’occasione di rivivere oggi l’incontro e l’amicizia con un uomo che ha segnato la mia vita, soprattutto negli anni decisivi della scelta della mia vocazione sacerdotale. L’ho conosciuto ed incontrato più volte, quand’era prete diocesano (in quegli anni, a Laorca, dai Gianola ero di casa), l’ho reincontrato in Amazzonia nel’66, missionario del Pime, e altre volte, nei suoi brevi ritorni in Italia, fino a quello definitivo pochi mesi prima della morte. Tutta la vicenda umana di padre Augusto è attraversata da una tensione drammatica, in una lotta corpo a corpo con il Mistero come quella di Giacobbe con l’Angelo». Come si può capire da queste parole intense dell’arcivescovo di Milano, padre Augusto Gianola lasciava un segno in tutti coloro che l’incontravano e così fu anche per un grande giornalista come Enzo Biagi, che di lui scrisse: «Ho conosciuto un prete felice». Padre Augusto Gianola, aveva un’altra caratteristica straordinaria, era un uomo ed un prete magnetico, che lasciava un segno in tutti coloro che lo incontravano. E questa sua caratteristica ci è confermata dalla sorella Esa: «Una delle caratteristiche che l’hanno sempre contraddistinto è stata la grande vivacità. Quando ha detto a mia madre che sarebbe andato in seminario, lei non ci credeva, non lo pensava possibile proprio per quella sua indole così estroversa. Non parliamo poi di mio padre.
Augusto era il fratello maggiore e su di lui mio padre aveva fatto dei conti per il futuro dell’azienda; avrebbe voluto facesse l’ingegnere e quando seppe che invece sarebbe andato in seminario per lui fu un vero colpo». Non era l’ingegneria ad interessare il giovane Augusto, ciò che lo attraeva era proprio quel Dio, che andò a cercare nelle sperdute foreste dell’Amazzonia; il tutto senza mai rinunciare a quell’originalità che lo rendeva indimenticabile per chiunque. «Di solito, di un missionario si dice che va «agli estremi confini» per portare Dio a chi non lo conosce. – ha scritto Gerolamo Fazzini - Nel caso di padre Augusto questo modo di esprimersi si rivela del tutto fuori luogo. Egli parte per l’Amazzonia per inseguire Dio. Ed è quanto farà per il resto della vita: una continua, insistente caccia a quel Dio incontrato fin da giovane».
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