di Aloisio Bonfanti “Le immagini più famose degli alpini sono intrise di sofferenza e di gelo. Mostrano i soldati con la penna nera sul cappello nelle bufere di neve della Russia, nei primi mesi del 1943, durante la terribile ritirata verso ovest, dopo il crollo del fronte italiano e tedesco sul Don. Sono foto che parlano da sole …”. E’ scritto così nella prefazione del libro “Una grande storia di guerra e di pace – Alpini” di Stefano Ardito, Edizioni Corbaccio. Nella stessa pubblicazione si può leggere, sempre nella prefazione, di “rare foto e disegni dedicati alla battaglia di Adua del 1896, la più terribile sconfitta mai subita da un esercito coloniale in Africa, che vide gli alpini subire perdite spaventose.”.
Stefano Ardito, una delle firme più note del giornalismo di montagna, realizza con il libro sugli alpini una grande storia di guerra e di pace che ha percorso parte dell’Ottocento, entrando nel Novecento e passando nel corrente Duemila. SI sofferma sulla presenza di reparti alpini nella tragica battaglia di Adua del 1896, dove scrive Ardito, per la prima (e non per l’ultima) volta, nella storia gli alpini sono le truppe italiane che subiscono le perdite più alte. Dei 945 che partecipano alla battaglia ne tornano in Patria un decimo; un ufficiale (uno su venti) un sottufficiale e 93 militari di truppa.
Sempre Ardito aggiunge in merito: “Una sorte condivisa dagli uomini dell’artiglieria di montagna della brigata Da Bormida, in buona parte montanari siciliani dei Peloritani e dei Nebroni, che sparano per ore contro i guerrieri etiopi che irrompono nella valle di Mariam Sciavitu. Vengono uccisi sui pezzi, tra gli altri, il tenente siciliano Umberto Masotto ed il suo pari grado Aurelio Grue, abruzzese di Atri. I piccoli cannoni al loro comando sparano per ore contro il nemico dai pendii dal monte Diran, permettendo a monti commilitoni di sganciarsi …. .”.
Nel libro sugli alpini Ardito si sofferma sugli errori compiuti nella battaglia di Adua che portarono alla tragica sconfitta, comunque determinata da una schiacciante superiorità numerica delle truppe indigene rispetto ai militari italiani ed agli ascari. Vi sono state carte sbagliate nell’indicazione dei tracciati: un’avanzata nella notte al buio provocò errori di percorso, tanto è vero che il primo attacco italiano contro la linea nemica avvenne sei chilometri in anticipo rispetto alle indicazioni delle mappe operative
Era lecchese uno degli ultimi reduci di Adua, che vide il sacrificio di 6.000 militari italiani. Il cav. Giuseppe Colombo, classe 1874, è scomparso nel 1963, a quasi 89 anni di età. Ricordava la sua partecipazione alla battaglia di Adua, conservava il libretto militare e la piastrina di riconoscimento. Era un caporale del 51° Fanteria, reggimento di stanza a Mantova. Imbarcato a Napoli, raggiunse la conca di Adua nella 3^ Compagnia del 51° Reggimento, nella colonna di riserva del generale Elena. La compagnia venne accerchiata e furono necessarie cariche alla baionetta per aprire un varco di ritirata. Numerosi i morti ed i feriti lasciati sul campo. Colombo ricordava i feroci assalti della cavalleria di re Menelik. Congedato nel settembre 1896, tornò nella sua Lecco, non indossò più la divisa militare. All’inizio della prima guerra mondiale aveva 41 anni.
Le vicende di Adua era da lui ricordate nei pomeriggi che trascorreva all’oratorio San Luigi presso la basilica come cooperatore dello stesso: capitava allora che, su richiesta di giovanissimi, ricordasse le ore di Adua. Quei ragazzi sono oggi tutti nei limiti della Terza Età ed appartengono a classi di leva che hanno avuto il servizio militare obbligatorio, in larga parte, per i lecchesi, trascorso con il cappello dalla penna nera. Nel libro di Stefano Ardito, che ricorda l’eroismo italiano di Adua, nonostante la sconfitta, potranno riallacciare ai ricordi del reduce Colombo le testimonianze sulla presenza delle “loro” penne nere.
Nel 1996 la popolarità di Giovanni Giuseppe Colombo era ancora tale a Lecco che nel giorno centenario della battaglia di Adua, il 1° marzo, una delegazione di associazioni d’arma rese omaggio alla tomba presso il Monumentale, con la deposizione di un omaggio floreale. La stampa locale scrisse, in quella circostanza, “La notizia della tragica sconfitta di Adua si diffuse a Lecco, come in tutta Italia, dopo i primi dispacci telegrafici. La commozione popolare fu enorme. A Lecco si pregò per i Caduti in una cerimonia nella chiesetta di Santa Marta in via Mascari”.
L’oratorio San Luigi, del quale Giuseppe Colombo era attivo cooperatore, festeggiò il reduce nell’annuale festa del 1954 e poi nel 1957, quando il presidente della Repubblica, al gruppo degli ultimi superstiti di Adua, tutti abbondantemente ultraottantenni, conferì l’onorificenza di Cavaliere.
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