di Gianfranco Colombo - Carlo Mauri portò a termine la sua prima grande impresa nella veste di esploratore, cinquant’anni fa, nell’estate del 1970. Alla mezzanotte del 13 luglio, dopo 57 giorni di navigazione, l'imbarcazione RA II, guidata dal biologo norvegese Thor Heyerdahl, raggiunse felicemente le Barbados, dopo esser partita dal Nord Africa. Dell'equipaggio di quell'imbarcazione, fatta solo ed esclusivamente in papiro, come quelle usate dagli antichi Egizi, faceva parte anche Carlo Mauri.
Fu un'impresa storica perché dimostrò per la prima volta la fattibilità tecnica, già nell'antichità, di viaggi dal vecchio verso il nuovo mondo, suggerendo che la somiglianza culturale tra i popoli precolombiani e le popolazioni assiro-babilonesi poteva non essere dovuta al caso. «Alle ore 18 di ieri sera, la mezzanotte ora italiana, – scriveva Il Corriera della Sera del 14 luglio 1970 - Thor Heyerdahl ed il suo equipaggio multinazionale sono arrivati alle Barbados, dove l'esploratore norvegese era atteso dalla moglie e dalle tre figlie. Gli ultimi 13 chilometri di mare sono stati superati al traino di un rimorchiatore. I naviganti del RA II godono ottima salute e non nascondono la loro soddisfazione per il successo del viaggio cominciato 57 giorni or sono e che ha coperto 5.100 chilometri».
A capo della spedizione, come già detto, era il biologo Thor Heyerdahl. Regista di documentari, esploratore, navigatore, diventò famoso per la sua spedizione con il Kon-Tiki, una zattera sulla quale navigò per 4.300 miglia dall'America del Sud alle Isole Tuamotu. Carlo Mauri faceva parte di un equipaggio internazionale composto, oltre che da Thor Heyerdahl, dallo statunitense Norman Baker, dal russo Juri Senkevitc, dall'egiziano George Sourial, dal messicano Santiago Genovès, dal giapponese Key Ohara e da Abdoulay Djibrine del Ciad. Un gruppo rappresentativo di tutto il mondo o quasi, che voleva sottolineare la possibilità di condivisione universale di un'impresa. Non fu un viaggio facile quello del RA II. Già l'anno prima, infatti, dalla città fenicia di Safi, in Marocco, era partito il Ra I, che però naufragò dopo 56 giorni, a circa una settimana di navigazione dalla meta. La zattera Ra I fu costruita di fronte alla Grande Piramide in Egitto e trasportata alla città costiera di Safi, in Marocco, dove fu varata. Anche per il Ra I Heyerdahl mise insieme un equipaggio di sette uomini, tutti provenienti da diverse nazioni, tra cui Carlo Mauri. Voleva, in questo modo, dimostrare che un gruppo così eterogeneo era in grado di lavorare in condizioni difficili e di stress. Nonostante un’imbarcazione costruita male e un timone rotto, la barca di giunco percorse 5 mila chilometri in otto settimane. Ma i giunchi lasciavano entrare molta acqua e Heyerdahl temette che il Ra I potesse affondare con tutto l’equipaggio a bordo. Fermarono così la spedizione, anche se probabilmente ci sarebbe voluta solo un’altra settimana per raggiungere Barbados.
Dieci mesi più tardi Heyerdahl varò il Ra II nella stessa città costiera in Marocco da cui era partito il Ra I meno di un anno prima. Poiché l’esperimento questa volta ebbe successo, gli antropologi di tutto il mondo dovettero abbandonare la vecchia convinzione che non fossero esistiti contatti tra i popoli del bacino del Mediterraneo e le nazioni del Sud e del Centro America prima che Colombo scoprisse questo continente. Come già detto, anche dell'equipaggio del Ra II faceva parte Carlo Mauri, che nonostante la sconfitta del 1969, come era nel suo carattere, non ci pensò due volte a riprendere il mare. Era il Carlo Mauri che dopo l'incidente sugli sci del 1961 aveva ripreso a scalare come prima, ma a cui la gamba malamente fratturata imponeva indubbiamente dei limiti. Siccome al Bigio i limiti non piacevano, ecco aprirglisi la prospettiva di alternare le scalate con queste avventure che lasciarono il segno.
L'impresa della RA II fu solo l'inizio di una serie di esplorazioni suggestive. Solo due anni dopo ripercorse a cavallo, insieme al figlio Luca, la strada di Marco Polo verso la Cina. Un'avventura supportata dalla “Domenica del Corriere” e dalla Rai, che fu seguita con grande interesse e passione. Sulle sue montagne o in mezzo agli oceani, Carlo Mauri non smise mai di confrontarsi con se stesso e con quel limite che aveva la sfrontatezza di oltrepassare ogni volta.
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