Nota introduttiva – Il presente testo è parte di una ricerca storica più ampia sul San Genesio, realizzata intorno al 1990, ma che non ha poi avuto pubblicazione con un programma editoriale previsto di ampio respiro su tutto il territorio della Brianza oggionese. E’ ancora di attualità la parte che viene ora pubblicata, relativa alle vicende del 1950.
Di Aloisio Bonfanti - (II puntata) - Si intensificano subito, nel dopoguerra 1945, come partecipazione di popolo, il pellegrinaggio a San Genesio di fine agosto e la Messa celebrata nella chiesetta di San Giuseppe. E’ lontano e superato l’interdetto arcivescovile sul tempio “non più regolare” per la partenza dei monaci. Subito, nel 1940, si era mosso, presso la curia di Milano, Antonio Cattaneo ed aveva trovato la collaborazione preziosa di don Vincenzo Maraschi. Don Vincenzo è ricordato con lapide collocata nella chiesa di San Giuseppe ed inaugurata nel 1951: il sacerdote ambrosiano, sino al 1949 assicurò, salendo al San Genesio, la Messa nelle solennità liturgiche.
Per la cerimonia inaugurale della lapide a Don Vincenzo raggiunse l’eremo un vescovo: mons. Diego Venini, nato a Fiumelatte di Varenna il 4 ottobre 1889, arcivescovo titolare di Adana, elemosiniere segreto di Sua Santità in Vaticano. E’ scomparso nel 1981. Diego Venini è stato a fianco di mons. Carlo Confalonieri, per diciassette anni il segretario particolare del Pontefice Pio XI, l’ambrosiano cardinale Achille Ratti,nativo di Desio, con famiglia originaria di Rogeno. Mons. Venini è sepolto nella chiesa della sua Fiumelatte di Varenna.
Il dopoguerra 1945/1950 segna anni di svolta per la storia recente dell’eremo sul Colle di Brianza. Nel 1944 era scaduto il primo quadriennio di custodia-affittanza ai fratelli Antonio e Carlo Cattaneo da parte dei monaci di Monte Corona. Erano giorni di situazioni tragiche, di collegamenti impossibili su tutta l’alta Italia, dove infuriava la guerra con sabotaggi alle linee tedesche e fasciste, i bombardamenti e mitragliamenti aerei anche su strade periferiche e poco frequentate. Con il ritorno della pace, nel 1945, si affrontò il rinnovo del contratto di affittanza-custodia che venne prorogato sino al novembre 1946, tra padre Parisio Perrotta, rappresentante della congregazione dei monaci, ed Antonio Cattaneo. Il fratello di quest’ultimo, Carlo, non aveva ritenuto di seguire il parente in importanti lavori di riparazione del complesso ed aveva maturato la decisione di lasciare libero di agire Antonio.
Intanto i monaci di Monte Corona ribadivano le decisioni del Capitolo Generale di non tornare con i religiosi al San Genesio per difficoltà varie. I contatti avviati per reperire una congregazione o un istituto cattolico disposto a riattivare l’eremo trovarono pareri quanto meglio di attesa, in quanto vi era un generale impegno per la ricostruzione post bellica.
Nel 1948, in occasione della visita pastorale ad Oggiono dell’arcivescovo di Milano, il cardinale Ildefonso Schuster, Antonio Cattaneo si presentò a mons. Ecclesio Terraneo, segretario di Schuster, per parlare dell’eremo e per accennare alla possibilità di acquisto.
Il 20 maggio 1950, nella città del Vaticano in Roma, i coniugi Benvenuta ed Antonio Cattaneo erano ricevuti in speciale, privata udienza dal pontefice Pio XII, il romano Eugenio Pacelli. Ebbero la consolante assicurazione che nulla ostacolava il possibile passaggio dell’eremo a proprietà privata.
Le trattative di acquisto per la famiglia Cattaneo, di Oggiono, ebbero inizio il 20 dicembre 1950, dieci anni dopo il primo accordo di custodia-affittanza. Vi furono incontri, corrispondenze, visite e sopralluoghi, valutazioni di quanto doveva rimanere e di quanto doveva tornare ai monaci. Tornò in evidenza anche il progetto di un tracciato stradale verso San Genesio, lasciato nella biblioteca del convento e risalente al 1898 su ricerca ed elaborati di padre Emidio.
Il complesso venne acquistato da Cattaneo e la lapide collocata nel 1951, per iniziativa dei coniugi Benvenuta ed Antonio Cattaneo, ricorda l’evento e si proietta nel futuro, auspicando la conservazione della “santità” del luogo.
Le lapidi del 1951 sono due: quella della famiglia Cattaneo, per l’acquisto, e quella ricordo di don Vincenzo Maraschii. Sono le prime del “nuovo corso di storia privata”, dopo quella religiosa al San Genesio. Affiancarono altre due lapidi poste dai monaci: nel 1905 per Tommaso Gallarati Scotti e nel 1911 per Barbara Gallarati Scotti, nata Melzi d’Eril.
Nel gruppo delle lapidi si colloca, poi, quella “cerniera” del 1940, che unisce i due distinti tronchi di storia che l’eremo ha vissuto: ricorda che i monaci “scendeva di quassù, memori del fratello Luigi, pellegrino assiduo dell’eremo e che Antonio e Carlo Cattaneo, di Oggiono; ne prendevano amorosa custodia in fiduciosa attesa di rivedere i padri e riunite le loro preci, su questo colle ritornato faro di luce evangelica”.
Il nuovo proprietario Antonio Cattaneo, negli anni ’50, non si preoccupò solo della sistemazione generale dell’edificio, nulla modificando della presenza monastica, ma anche ad un collegamento stradale affidato in quel periodo solo a difficili sentieri campestri ed alpestri.
Sul filo delle memorie lecchesi, ancora nel 1964, il compianto giornalista Aristide Gilardi ricordava la nostalgica rimembranza degli anziani verso i monaci di San Genesio, che ogni sabato giungevano a Lecco per le provviste della comunità. Nella bella stagione arrivavano due monaci a piedi da Airuno, passando per Olginate, entrando in Lecco dal vecchio ponte visconteo sull’Adda, l’unico stradale allora esistente. Da novembre a febbraio prendevano il treno lasciando la città con il convoglio delle 13.05 verso la stazione di Olgiate, dove aveva inizio per loro il cammino sul ripido sentiero verso le mura dell’eremo, che raggiungevano al calar delle ombre della sera.
Nessun commento:
Posta un commento