Sono passati esattamente sessant’anni dalla conquista in Dolomiti dell’inviolato spigolo est da parte del “re del Civetta” e dei due mandellesi suoi compagni d’ascensione
di Claudio Bottagisi
Originario di Mandello Lario, dove è nato nel 1935, è annoverato tra i migliori alpinisti europei degli anni Cinquanta e Sessanta, l’epoca d’oro del sesto grado superiore. Arrampicatore di razza, seppe esprimersi ai massimi livelli tecnici tanto sulla roccia dolomitica quanto sul terreno d’alta quota delle Alpi occidentali. Diede per così dire il meglio di sé nel gruppo del Civetta, in Dolomiti, dove aprì itinerari di grande difficoltà.
Di Giorgio Redaelli, perché è di lui che si sta parlando, negli ambienti della montagna tutti ricordano in particolare la vittoriosa ascensione lungo la via Solleder, sulla parete nord-ovest del Civetta. Una salita “firmata” nel 1963 con Ignazio Piussi e Toni Hiebeler, considerata una tra le più grandi imprese dell’alpinismo invernale. Sempre con Piussi, quattro anni prima Giorgio Redaelli aveva risolto uno dei più grandi problemi alpinistici di quegli anni, aprendo una via diretta (nota come “direttissima”) sulla parete sud della Torre Trieste dopo 79 ore di arrampicata, usando 330 chiodi normali, 90 chiodi a espansione e 45 cunei di legno.
Ma è il 1960 l’anno per così dire… storico di Redaelli. E’ infatti l’anno del suo matrimonio con Aurora, lecchese, conosciuta durante le salite in Grigna. Con lei, il “re del Civetta” ha effettuato non poche ascensioni (“arrampicava assai bene”, ci disse un giorno) e con il suo nome ha pure “battezzato” il rifugio dei Piani di Artavaggio costruito sul finire degli anni Settanta e gestito dall’affiatata coppia fino al 2006.
Ed è l’anno, sempre il 1960, della salita allo spigolo est della Torre Venezia, fino ad allora inviolato. Sono passati esattamente 60 anni da quei giorni di giugno. Suoi compagni d’avventura furono altri due mandellesi, Corrado Zucchi e Pierlorenzo Acquistapace, il “Canela”. Ad accompagnarli Domenico Degani, detto “Jolly”.
“Affrontammo quattro giorni di parete estrema - ci ricordava tempo fa Redaelli - due dei quali soltanto per superare gli 80 metri di una placca. Come dimenticare, poi, quel lungo terzo bivacco da brividi a causa di un temporale che ci accompagnò per un’intera notte? L’indomani raggiungemmo comunque la cima, dopo avere evitato gli ultimi strapiombi con una traversata sulla sinistra”.
“Sono le 14 del 20 giugno - si legge nel libro Momenti di vita scritto da Giorgio Redaelli e pubblicato nel 2004 - e siamo riuniti tutti e tre sulla vetta, più bagnati che soddisfatti, mentre un bel sole ci riscalda e in parte ci asciuga. Con tutta la buona volontà e senza risparmio di energie la nostra via è stata ultimata anche se non com’era nel progetto iniziale… Però per noi che l’abbiamo vissuta e sofferta costituisce comunque una valorosa conquista”.
Un anno da incorniciare, si è detto, il 1960. “Dopo la Torre Venezia - scrive in effetti Redaelli sempre in Momenti di vita - compio con Giuseppe Conti, detto “Pep de Mera”, la prima ripetizione della via Oppio al Sasso Cavallo con due bivacchi… Una grande via, pensando agli anni in cui venne aperta. Lo stesso anno con Aurora torno a Courmayeur, dove salgo il Bianco per la cresta di Bionassey e il Dente del gigante… E il 1960 si chiude con la mia ammissione al Caai, il Club alpino accademico italiano, e il 24 settembre con le nozze con Aurora”.
Sessant’anni fa. E nel cuore del “re del Civetta”, allora come oggi, la montagna, con le pareti a lui più care da riabbracciare idealmente.
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