Mario Landriscina alla cittadinanza: “Anche nella nostra città si sono registrati comportamenti fuori dalle regole, puntualmente sanzionati ma indicativi di un clima preoccupante”
Una lettera aperta alla cittadinanza carica di significati. E di ammonimenti. Una missiva per spiegare come Como e il suo territorio hanno vissuto (e stanno vivendo) la “fase 2” dell’emergenza sanitaria. Un intervento dai toni in qualche caso anche piuttosto duri, tali peraltro da giustificare la delicatezza del momento che tutti stanno vivendo. A scriverla è il sindaco del capoluogo lariano, Mario Landriscina. Questo il testo della sua lettera aperta:
“Era prevedibile e persino auspicabile che, dopo settimane di chiusura nelle proprie abitazioni, le persone, tutte e non solo i giovani, avessero voglia e bisogno di riprendere i propri spazi e le proprie relazioni. La possibilità di muoversi, di camminare, di correre, di pedalare. Di tornare a messa, a guardare il lago, ai giardini, per non dimenticare quanti avevano il bisogno di andare a trovare i propri cari al cimitero.
Per settimane siamo stati privati delle nostre libertà per contrastare la pandemia.
Peraltro, se si voleva verificare quanto questo bisogno di “contatto” personale e diretto potesse essere sostituito da relazioni “tecnologiche”, ebbene è stato chiaro che non possiamo certo fare a meno di incontrarci e che nessuna possibilità alternativa, alla lunga, potrà mai sostituire questo genere di necessità, anzi di privilegio. Per fortuna!
Una fortuna da non perdere, un valore da difendere strenuamente. E’ però altrettanto vero che ancora una volta sembra difficilissimo imparare dalle dure lezioni che la vita ci impartisce. Improvvisamente sembra che la fatica, il dolore, i morti, le nuove povertà e le difficoltà sociali di cui abbiamo sentito e parlato per mesi e che per alcuni tra di noi sono tuttora una drammatica realtà, non siano serviti a nulla. Già dimenticato tutto? A guardare l’ultimo fine settimana, complice il bel tempo, parrebbe proprio di sì.
Guai a sederci e piangere sconfortati restando immobili allo scorrere della vita: bisogna reagire e riappropriarci del nostro futuro, con decisione e buona volontà. Però non senza aver presente ciò che è successo. Qualcosa di enorme, di cui purtroppo non si può escludere il ritorno e delle cui ricadute soffriremo per anni.
Non serve paventarne il rischio cavalcando la paura, ma serve affrontarlo razionalmente evitando che ci vengano di nuovo sottratti la salute, la libertà, gli affetti e il lavoro. Tutti beni troppo importanti per essere messi ancora a repentaglio.
Ognuno di noi migliora utilizzando anche le esperienze che vive e, a volte, che soffre. Mi chiedo perché questi presupposti non stiano adeguatamente funzionando.
Istituzioni nazionali, regionali e i Comuni si confrontano intensamente per affrontare sia i problemi di “sistema” sia quelli che stanno diventando problemi di tutti i giorni.
A questo proposito, i più attuali per il rischio che sottendono sono diventati gli assembramenti, la così detta “movida”, più in generale i comportamenti delle persone.
In questi mesi la scienza ha camminato offrendo sempre maggiori certezze. Ciò detto, la partita “pubblica” si gioca su poche regole in ambito di prevenzione: mascherine facciali, distanziamento sociale, guanti, igiene delle mani, protezione degli occhi…
Provvedimenti semplici, indispensabili per non ripiombare nel baratro. Sarebbe fatale sul piano sociale ed economico.
Però pare che le cose vadano nel senso sbagliato. Seppure una gran parte della popolazione sia attenta e rispettosa, una quota “se ne frega” a tutti gli effetti: non ha imparato nulla, o forse non gli importa di nulla pensando immortali se stesso e suoi cari. Anche nella nostra città si sono registrati alcuni comportamenti fuori dalle regole, puntualmente sanzionati, ma indicativi di un clima, di una situazione preoccupante.
A questo proposito tanti invocano interventi robusti, propugnando l’uso della forza, l’applicazione di severe sanzioni economiche e non solo.
Non basterebbe una pattuglia a ogni angolo di strada, tre o più in ogni piazza. E che dire delle nostre spiagge sul lago e persino dei sentieri in montagna? Ma si potranno mai presidiare tutti luoghi, tutti i locali aperti al pubblico? E se le imprudenze si verificassero persino nelle abitazioni private, dove si potrebbero consumare contagi a piene mani?
Assistiamo ai più diversi provvedimenti che i sindaci, molto arrabbiati e delusi, adottano unilateralmente: chiudo la piazza, chiudo i locali, chiudo prima in termini orari, chiudo l’asporto, chiudo… gli occhi. Al fine di tutelare la salute pubblica sono pronto a farlo anch’io.
Personalmente, però, penso che bisognerebbe tentare di “aprire” il pensiero delle persone, con un’azione persino “porta a porta”, dove ognuno almeno provasse a far ragionare l’altro sui rischi che si corrono. In ogni famiglia, in ogni associazione, in ogni bar, in ogni circostanza. Con pazienza, con tenacia, con volontà persuasiva, pur correndo il rischio di prendersi qualche “vaffa…”.
Solo così si può pensare di camminare verso una società matura, consapevole perché informata, e che quindi sceglie di adottare comportamenti adeguati. Non perché ha paura o solo quando è costretta, ma perché è responsabile.
Un grande statista teorizzava: non chiederti cosa può fare lo Stato per te, ma chiediti cosa puoi fare tu per lo Stato! Mi piacerebbe verificarne la declinazione sul campo”.
Mario Landriscina, sindaco di Como
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