La realtà è oggi quella di una città che progressivamente rischia di morire, a iniziare dai rioni, oggi desolatamente spopolati e dove la vita sociale è quasi inesistente
di Claudio Redaelli
Da borgo a città. Sono passati più di 170 anni da quel 22 giugno 1848 quando Lecco venne elevata dal Governo provvisorio della Lombardia al grado di città “per il fervore con cui abbracciò la causa nazionale e per la perseveranza onde in ogni guisa la sostenne, mostrandosi pronto a ogni maniera di sacrifici”.
Su quella data e su quell’evento si soffermò Aloisio Bonfanti nel libro Dal vecchio borgo alla grande Lecco pubblicato nel 2007 a cura delle Edizioni Monte San Martino. In quel volume si intrecciavano storie e vicende che si sono accompagnate al cammino percorso da Lecco per trasformarsi appunto da borgo a città, così come non mancava un’attenta analisi dei problemi delle diverse realtà municipali cittadine, un tempo autonome e oggi quartieri della “grande Lecco”.
Lui, Bonfanti, la storia di Lecco e della sua terra la conosce del resto come pochi altri e sa parlarne con dimestichezza e al tempo stesso con assoluto rigore, oltre che con dovizia di particolari. Ha poi un altro pregio, quello di saper guidare e accompagnare per mano il lettore alla scoperta degli avvenimenti descritti.
L’aveva fatto, Bonfanti, anche in quel volume, dove si evidenziava non soltanto il gusto dello scrivere ma altresì il piacere di raccontare episodi che a una prima lettura avrebbero potuto sembrare insignificanti, o comunque di importanza marginale rispetto ad altri eventi, e che invece - per il periodo storico e la circostanza in cui si collocavano - si rivelavano fondamentali per capire l’esatta portata dell’argomento trattato.
E’ poi anche giornalista, Aloisio Bonfanti. E lo dimostra quando si sofferma su taluni fatti di cronaca accaduti negli anni che hanno contrassegnato il passaggio di Lecco da borgo a città. Stiamo pensando, ad esempio, alla descrizione della frana di Versasio che il mattino del 16 settembre1882 causò la morte di sei persone, con un bilancio reso se possibile ancora più grave dal numero delle case crollate e da quello delle persone senza tetto, oltre che dalle decine di ettari sommersi dall’acqua e dal fango.
O ancora all’episodio del dicembre 1943, mese e anno della terribile tragedia del tram deragliato in località Cavalesine, in quartiere San Giovanni.
I morti furono 14 e oltre 30 i feriti. Non a caso Bonfanti ne parlò come della più pesante tragedia cittadina di tutto il Novecento, per numero di vittime superiore anche alla frana del Monte San Martino del 1969, allo scoppio - causato dal gas - del dicembre 1987 in rione Castello e, addirittura, alle incursioni aeree belliche della primavera del ’45 sulla “Fiocchi munizioni” di Belledo.
Si è detto del 22 giugno 1848. Ebbene, quella data era stata a suo tempo celebrata a Villa Manzoni, luogo simbolo del capoluogo lariano. E l’evento era stato anche l’occasione per una riflessione sull’evoluzione degli assetti urbani mutati nel tempo, con profonde metamorfosi sociali ed economiche, oltre che politiche e istituzionali.
Lecco, è vero, ha saputo dimostrare di poter essere una città all’altezza delle tradizioni, della sua storia imprenditoriale e operaia e della sua testimonianza antifascista. E significativa è stata pure la stagione della solidarietà vissuta negli ultimi decenni dell’Ottocento e nei primi decenni del secolo successivo. Proprio su quel “capitolo” di storia cittadina si era soffermato, nell’appendice al libro di Bonfanti cui si è fatto cenno, l’indimenticato collega Angelo Sala.
“L’attenzione si concentra in particolare - si leggeva nella prefazione - sulla risposta a due grandi problemi di una società in rapido sviluppo: quelli dell’assistenza e della casa. E la risposta, va detto, si diversificò secondo i problemi locali e - nel caso dell’assistenza - attinse motivazioni e spinte da una tradizione tutta lecchese piuttosto lontana nel tempo, ossia quella dell’ospedale della Beata Vergine Maria sorto nel 1594 per testamento di Giovanni Antonio Airoldi”.
“Una tradizione antica - era scritto sempre nella prefazione - che ha largamente superato il traguardo dei 400 anni e che continua oggi negli Istituti Riuniti Airoldi e Muzzi”.
Angelo Sala, dunque, ricordava nell’appendice che “se già nel 1781 il borgo di Lecco poteva apparire dei migliori in popolazione e traffico della provincia, nel 1829 vantava ricchi stabilimenti. In un arco di tempo compreso tra la metà del Settecento e il primo trentennio dell’Ottocento si collocano dunque l’avvio e la prima affermazione dell’industria, che registrò un incremento in epoca napoleonica e una ulteriore espansione nel primo ventennio della restaurazione, quando la produzione risultò pressoché triplicata”.
Più avanti Sala scriveva: “In una situazione economica e agricola che punta all’autosufficienza, non occorre aspettare gli anni delle grandi carestie per trovare larghe fasce di poveri e miserabili, gente cioè che non ha lavoro, non sa trovare di che sfamarsi, non ha una lira per farsi curare. Il certificato di miserabilità rilasciato dal parroco resta l’ultima speranza per tanti di sopravvivere: è ad esempio quello che permetterà di ottenere gratuitamente dal Comune la polenta o il pane in caso di carestie e fame, l’esenzione da tasse e contributi, l’assistenza durante la malattia o il parto, il seppellimento dopo la morte. Poveri dichiarati ce n’erano tanti e dappertutto”.
Fin qui il passato. Ma oltre 170 anni dopo la “promozione” di Lecco da borgo a città non si può fingere di non vedere la realtà di una città - Lecco appunto - che progressivamente rischia di morire, a iniziare dai rioni, oggi desolatamente spopolati e dove la vita sociale è quasi inesistente, con gli anziani in particolare a soffrire incolpevolmente di questo stato di cose.
Ecco allora l’esigenza, in primis da parte delle istituzioni pubbliche e di chi detiene posti di potere e responsabilità, di passare dalle parole ai fatti. Così che si possa tornare a dire che gli anni trascorsi dall’elevazione di Lecco “da borgo a città” non sono passati invano.
l'amico aloisio ed il claudio redaelli del punto stampa amici da una vita,,la bellezza della mia città ch sostiene la mia vecchiaia.. un grande abbraccio amici
RispondiEliminalo cantavamo alle elementari alla scuola di castello..... oh di lecco ai vaghi lidi recan l'onde un mormorio....maestro evaristo rigamonti amico di famiglia...
RispondiEliminaDove posso trovare il testo o di Lecco ai vaghi lidi
EliminaAloisio Bonfanti ha amato Lecco come pochi altri.
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