22 coordinatori, 513 infermieri e 149 operatori socio-sanitari, oltre a 27 tecnici di radiologia, 44 tecnici di laboratorio e 20 fisioterapisti: sono i numeri che fotografano il mondo degli infermieri impegnato nei dodici reparti Covid-19 e nei servizi attivati per questa patologia all’ospedale Sant’Anna e nel reparto di Rianimazione dell’ospedale di Cantù. Gli infermieri, e gli altri professionisti, fanno capo al Dapss, la Direzione assistenziale e delle professioni sanitarie e sociali, al cui vertice in Asst Lariana, da quasi vent’anni oramai, c’è la dottoressa Anna Michetti.
A lei, innanzitutto, è toccato il compito, sulla base delle indicazioni della direzione generale, di gestire la riorganizzazione dei reparti Covid-19 che via via sono stati aperti al Sant’Anna, assegnare il personale infermieristico, tenendo conto il più possibile delle competenze e capacità professionali. Il Dapss ha curato inoltre con la collaborazione, tra gli altri, del Comitato infezioni ospedaliere, l’addestramento del personale (912 persone formate di cui 78 medici). Vestizione e svestizione, il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuali, sempre assegnati, l’assistenza al paziente con insufficienza respiratoria, l’utilizzo dei ventilatori non invasivi (Cpap, i cosiddetti caschi), la fisiopatologia respiratoria (una branca della Pneumologia che si occupa della funzionalità respiratoria e cardio-respiratoria), la gestione dei cateteri venosi, sono alcuni dei temi “ripassati” insieme agli operatori in vista dell’emergenza.
A lei, innanzitutto, è toccato il compito, sulla base delle indicazioni della direzione generale, di gestire la riorganizzazione dei reparti Covid-19 che via via sono stati aperti al Sant’Anna, assegnare il personale infermieristico, tenendo conto il più possibile delle competenze e capacità professionali. Il Dapss ha curato inoltre con la collaborazione, tra gli altri, del Comitato infezioni ospedaliere, l’addestramento del personale (912 persone formate di cui 78 medici). Vestizione e svestizione, il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuali, sempre assegnati, l’assistenza al paziente con insufficienza respiratoria, l’utilizzo dei ventilatori non invasivi (Cpap, i cosiddetti caschi), la fisiopatologia respiratoria (una branca della Pneumologia che si occupa della funzionalità respiratoria e cardio-respiratoria), la gestione dei cateteri venosi, sono alcuni dei temi “ripassati” insieme agli operatori in vista dell’emergenza.
Piemontese d’origine, due figli, arrivata sul Lario nel 2001 per seguire il marito che lavorava a Milano, Michetti fino a metà febbraio pensava che lo spostamento dell’ospedale dalla vecchia sede in via Napoleona a San Fermo, avvenuto a ottobre 2010, fosse stata la più grande sfida professionale mai vissuta. Sono bastati pochi giorni e l’emergenza Coronavirus ha cancellato quell’idea. “La difficoltà più grossa con la quale mi sono dovuta confrontare è stata la velocità - osserva - Velocemente abbiamo dovuto ragionare sul da farsi, velocemente bisognava rendere operativi i nuovi reparti, procedere con le sanificazioni, la definizione dei percorsi, il coinvolgimento e l’informazione ai vari professionisti. Non si poteva e soprattutto non si doveva, dimenticare nulla”. I giorni si sono succeduti tra riunioni e decisioni e le notti sono state a volte insonni. “Spesso - prosegue - mi sono svegliata ricordandomi di qualcosa che non bisognava tralasciare e così mi segnavo tutto subito. Mi sembrava di essere sempre un passo indietro rispetto alle esigenze e mi chiedevo e mi chiedo in continuazione se ho previsto e fatto tutto”. Adesso che i numeri sembrano aprire uno spiraglio nel buio vissuto in tutti questi giorni, Michetti guarda all’aspetto psicologico di tutta l’emergenza. “Tutto il personale impegnato in prima linea in questo periodo dovrà fare un grande lavoro personale su di sé, magari con l’aiuto di persone competenti, da solo o in gruppo. Le emozioni vissute andranno ricollocate. Il personale ha affrontato e affronta situazioni professionali ed umane che, nonostante un lavoro in ospedale e quindi, in un certo senso, una qualche abitudine, hanno comportato un impatto emotivo molto importante per il numero di pazienti arrivati, la velocità degli accessi, le modalità di cura, l’assenza della vicinanza dei familiari al paziente. Penso allo sforzo quotidiano, senza contare il timore di veder proiettata su di sé la malattia, esattamente come la vedevano e la toccavano con mano in reparto. Penso alla paura, alle famiglie, ai bambini, agli anziani (la mia mamma che ha 89 anni, in questo momento, ad esempio, vive con noi), alla preoccupazione nel tornare a casa, alla fatica nel mantenere le distanze ”.
“Se c’è un aspetto positivo di tutta questa esperienza - conclude Michetti - è la riconferma che da soli non si può fare nulla e che è fondamentale il lavoro con gli altri, la collaborazione, l’ascolto. E’ come essere su una nave in tempesta. Chi è al comando deve tenere la barra al centro e mantenere sempre la rotta ma tutti gli altri devono remare nella stessa direzione, per uscirne insieme, da solo nessuno può fare nulla. Credo che nessuno di noi sia indispensabile ma che ogni singolo professionista possa e debba essere responsabile e quindi utile al sistema ed insieme fare la differenza”.
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