I loro nomi, i loro volti e le loro storie insieme a quelli dei “testimoni della fede” presentati nella mostra “Sui loro passi” voluta dal Sinodo diocesano
di Claudio Bottagisi Una mostra denominata “Sui loro passi” e dedicata ai “testimoni della fede”. A proporla è stato il Sinodo diocesano, che l’ha allestita a Como presso il Centro pastorale “Cardinal Ferrari”, in viale Cesare Battisti.
L’idea della rassegna espositiva, che si compone di 26 pannelli, era scaturita nel momento in cui il vescovo Oscar Cantoni aveva manifestato il desiderio che il cammino sinodale fosse accompagnato dalla testimonianza di tanti fratelli e sorelle della Chiesa lariana. Donne e uomini “umili testimoni di Cristo per mezzo di una vita di fede e di carità nei più diversi luoghi della diocesi”.
Due anni fa papa Francesco, nella Gaudete et exsultate, parlando di “santi della porta accanto” invitava del resto a scorgere segni di santità all’interno di tutto il popolo di Dio, non limitandosi a quelli già beatificati o canonizzati per imparare a contemplare lo spirito che “riversa ovunque santità”.
Ecco allora il progetto “Sui loro passi” scaturito anche dalla consapevolezza che la diocesi di Como, anche soltanto guardando al secolo scorso, può gioire nello scorgere numerosi segni di questa santità, tanto da poter parlare di una vera “moltitudine di testimoni”: missionari, laici, sposi, giovani e gruppi giovanili, sacerdoti, consacrate e consacrati che, nella testimonianza di una vita di fede, speranza e carità, sono stati segni di santità e modelli destinati a incoraggiare tutti nel cammino della vita.
All’interno di questa “moltitudine” si rendeva tuttavia indispensabile una scelta, tenendo conto della rappresentatività dell’intero territorio diocesano e soprattutto della ricchezza e varietà delle diverse vocazioni.
Tra i nomi scelti alcuni sono già conosciuti, altri sono invece più nascosti nelle pieghe delle piccole storie delle nostre comunità. “Troviamo alcune figure - spiegavano i promotori della mostra - la cui santità è già riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa o il cui cammino è in corso, mentre altre sono figure più nascoste e corrispondono davvero a un’autentica santità della porta accanto”.
“Interessante - aggiungevano - è trovare anche esperienze comunitarie e di gruppo. Sono stati scelti senza la pretesa di canonizzare nessuno, ma piuttosto con il desiderio di indicare alcuni buoni esempi, come si fa in ogni famiglia”.
E ancora: “Un elenco di nomi, volti e storie che non vuole essere esaustivo ma certamente rappresentativo. Incrociando e leggendo quelle storie, a molti verranno in mente altri volti e altri nomi e forse ne lamenteranno l’assenza. Il lavoro non è però né chiuso né riservato a specialisti. Anzi, quello che si vorrebbe suscitare è proprio questo: che ogni comunità si metta alla ricerca di quelle testimonianze che sono segno dell’opera di Dio in mezzo ad essa. Sarà questo anche un modo per parlare oggi di Dio a tutti, soprattutto ai giovani”.
Tra i nomi e i volti della mostra, guardando al Vicariato di Mandello, vi sono quelli dei coniugi Adele e Franco Gianola e di Bruno Volpi.
Adele e Franco, coppia innamorata della vita
Adele Croci era originaria di Uggiate, dov’era nata nel 1946 in una famiglia contadina, mentre Franco Gianola, classe 1943, era nativo di Premana ed era cresciuto a Como, dove aveva frequentato l’oratorio di San Bartolomeo e dove, sul campo di pallone, incontrò Gigi Meroni, futuro campione di calcio morto giovanissimo in un tragico incidente stradale, che fu per lui un carissimo amico e un compagno di giochi.
La vita di Adele e Franco si intreccia sui banchi di scuola e il 27 marzo 1967 i due si sposano a Uggiate, nel santuario di Somazzo. L’armonia della comunione coniugale richiede di coordinare costantemente le note dell’esistenza mentre si attraversano insieme le varie stagioni e le impreviste situazioni di ogni storia coniugale.
Dopo qualche anno vissuto a Torino per esigenze di lavoro, nel 1975 la coppia si trasferisce ad Abbadia Lariana. Genitori di tre figli, Adele e Franco partecipano alle attività della parrocchia, dell’Azione Cattolica e dell’Equipe Notre-Dame, in cui affinano la loro vita spirituale di coppia, fatta di dialogo e approfondimento della parola di Dio.
Vivono la loro fede soprattutto nel lavoro, campo di applicazione degli insegnamenti provenienti dai vari ambiti. Franco ha dedicato tutta la sua vita professionale al commercio, apprendendo il mestiere a Como e portandolo poi in giro per l’Italia con passione, dedizione e amore, sempre insegnando ai ragazzi che “non basta lavorare, bisogna lavorare bene!”.
Adele lo ha accompagnato, dedicandosi ai figli e ai ragazzi che affiancavano Franco, con dolcezza e capacità di ascolto. Erano innamorati della vita, “perché - come dicevano - non c’è nulla di più bello”.
Era il 9 giugno 2014 quando in Valvarrone accadde l’incidente aereo in cui perse la vita anche il pilota Pietro Brenna, trentatreenne comasco, oltre alla coppia di Abbadia Lariana. I tre erano a bordo di un idrovolante che, partito da Como, stava sorvolando la Valle dei Forni.
A ricordare i coniugi Gianola fu, nei giorni successivi, don Tullio Salvetti, per tredici anni (dal 1982 al 1995) parroco proprio ad Abbadia, dove il sacerdote aveva conosciuto Adele e Franco. “Un gruppo di ragazze e di ragazzi cresceva con me - aveva detto il sacerdote - con una frequentazione assidua dell’oratorio, della chiesa, della mia casa e della casa ai Piani Resinelli. Il contatto con le loro famiglie era costante e costruttivo e tra queste vi era la famiglia Gianola”.
“La loro casa - aggiungeva l’ex parroco di Abbadia - era un po’ come quella di Betania: accogliente, ospitale, luogo di incontro, di dialogo e di scambio di opinioni. La visione positiva delle cose dava modo di creare sempre un clima di allegria e di ottimismo. Contagiavano anche noi con la loro passione per Premana, dove ci invitavano nella stagione estiva per qualche escursione sugli alpeggi”.
“Abbadia ci sembrava troppo piccola - osservava sempre don Tullio - e il nostro sguardo andava lontano, al mondo che ci circondava e che volevamo conoscere. Il primo grande viaggio lo facemmo con nove parrocchiani, tra i quali Adele e il figlio Giovanni, in Brasile, terra di missione di don Battista Cossali. Fu un’esperienza indimenticabile, che ci mise in contatto con i problemi del Sud America”.
Il prevosto di Monte Olimpino ricordava poi la visita alle maggiori capitali europee alla ricerca e alla scoperta di cattedrali, monumenti, musei e culture diverse dalla nostra. Fino ad un viaggio indimenticabile con Franco Gianola in Patagonia, per godere di panorami unici.
Quindi una riflessione conclusiva: “Il dolore per la perdita è grande, ma la speranza dell’altra vita e di rivederci non viene meno. Non so perché il Signore li ha chiamati a sé in maniera così improvvisa e traumatica, ma so che sono morti insieme, come sono vissuti insieme. E sono morti mentre andavano a Premana, il loro rifugio sognato, attraverso la via del cielo. Ora la loro casa è ancora più grande e accogliente perché ormai sono nel banchetto del cielo”.
Don Vittorio Bianchi, parroco ad Abbadia dal 2010 al 2019, ricordava invece così i coniugi Gianola: “Adele ha curato per molti anni la formazione dei fidanzati nel loro cammino di preparazione al sacramento del matrimonio e ha pure speso non poche energie nell’ambito dei gruppi familiari. Ultimamente mi organizzava la festa degli anniversari di matrimonio ed era presidente dell’Azione Cattolica di Abbadia. Suo marito Franco, invece, avevo ritenuto opportuno proporlo a ministro straordinario dell’Eucarestia. Si dedicava infatti con impegno e gioiosamente alla cura degli anziani e degli ammalati e proprio con Adele era stato chiamato a far parte del nuovo consiglio pastorale parrocchiale”.
Don Vittorio aveva evidenziato altresì l’impegno di Gianola in qualità di presidente dell’associazione “San Vincenzo” nel Vicariato di Mandello.
“Due persone religiosissime - affermava - e buone, attente alle attese e alle esigenze delle persone, assidui nella frequentazione delle attività della parrocchia”.
Nei giorni successivi a quel tragico volo nella basilica di San Nicolò a Lecco si era tenuto il rito funebre dei coniugi Gianola, dopodiché le salme di Adele e Franco erano state tumulate nel cimitero di Abbadia.
Bruno Volpi e la vocazione alla famiglia solidale
Bruno Volpi nasce a Mandello nel 1937. Conseguito il diploma di geometra, lavora alla Moto Guzzi. Con la moglie Enrica Corti, lecchese, nel 1963 parte per il Rwanda, dove la coppia resta in missione per otto anni.
A partire dal 1978 Bruno e Enrica, insieme a Massimo e Danila Nicolai e a una comunità di padri gesuiti, danno vita alla Comunità di Villapizzone a Milano. Una comunità fondata sul vangelo e sulla prossimità familiare come risorsa per una vita sobria, accogliente e solidale. La vocazione alla famiglia è una vocazione piena. Bisogna stare lì, starci dentro.
Nel corso della sua vita Bruno vede crescere e diffondersi questa esperienza con la nascita di una quarantina di comunità familiari sparse in tutta Italia, insieme a cooperative di lavoro, gruppi di sostegno e mutuo aiuto.
Insieme ad altre realtà costituisce la Fondazione “I Care ancora”, l’associazione di promozione sociale “Mondo di comunità e famiglia”, che tiene in rete diverse esperienze. Bruno durante tutta la sua vita si spende generosamente anche condividendo l’esperienza di Villapizzone e partecipando a incontri, seminari, attività culturali e ecclesiali.
Muore nel 2017 e il suo nome è nel Famedio di Milano tra gli uomini illustri.
Dell’esperienza dei coniugi Volpi padre Silvano Fausti, gesuita, ha scritto: “Vivere con famiglie solidali in una casa tanto malmessa fuori quanto viva dentro è per noi gesuiti un grande dono. Rende credibile ciò che diciamo. Chiunque viene, vede che una vita semplice e sensata è possibile anche a Milano. Il Vangelo che si annuncia non è cosa da preti. Lo vivono famiglie normali, anche senza etichetta religiosa e gli stessi preti sembrano persone normali. Il principio del nostro stare insieme non è il dovere di “fare del bene” ma anzitutto il piacere di “star bene” e si sta bene quando la priorità è data alle relazioni. Chi sta bene è accogliente e così può far stare bene gli altri”.
Queste sono invece le parole di Enrica: “Con Bruno, mio compagno di tutta la vita, abbiamo imparato a fidarci di Dio. Abbiamo capito che da soli non andavamo lontani, ma con Lui ci sentivamo protetti, ci sentivamo come strumento nelle sue mani e nonostante gli errori e le fatiche eravamo sereni e certi che la provvidenza non ci avrebbe mai abbandonato”.
E ancora: “Bruno mi ha aiutato a capire il valore della povertà, dei “beati i poveri”. E’ beato chi ha bisogno, diceva. Bisogno degli altri e di Dio. Riconoscere questa povertà ci ha aiutato a cercare di vivere uno stile di vita che include questi bisogni, perché abbiamo sempre bisogno gli uni degli altri e di Dio per vivere bene. Bruno mi ha sempre aiutato a capire il senso di tutto e non riesco nemmeno a immaginare cosa sarebbe stata la mia vita senza di lui”.
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