di Claudio Bottagisi Per chi non è più giovanissimo, il suo nome si lega a una telecronaca di Paolo Rosi datata 1983. Era l’anno dei Mondiali di atletica a Helsinki, in Finlandia, finale dei 10.000 metri. In gara vi era anche Alberto Cova. E gli avversari più temibili erano gli stessi da lui battuti un anno prima agli Euroepi: i tedeschi Kunze e Schildhauer, il finlandese Vainio e il portoghese Carlos Lopes.
Al suono della campana dell’ultimo giro, con il gruppo ancora compatto, è Schildhauer a aumentare l’andatura. Soltanto Kunze sembra poter rispondere all’attacco. Si crea un vuoto tra i due tedeschi e un terzetto di inseguitori: Vainio, il tanzaniano Gidamis Shahanga e appunto Cova.
Incredibilmente, negli ultimi 150 metri, il vantaggio di Schildhauer si assottiglia. Kunze sembra in grado di superarlo, mentre Vainio, Shahanga e Cova rientrano. Ultima curva, Cova si porta sulla corsia esterna e procede a velocità doppia: crolla Shahanga e l’azzurro infila nell’ordine Vainio, Kunze e Schildhauer, mentre il telecronista Rai lascia che siano le immagini a raccontare quell’incredibile finale di gara e si limita a ripetere (o per meglio dire a urlare) una, due, tre, quattro… sette volte Co-va, Co-va, Co-va, Co-vaaaaaa… Per poi aggiungere: “28’01”4 il suo tempo… Ma che ci importa del tempo! Cova ha trionfato”.
Oggi Alberto Cova, origini comasche (è nato a Inverigo il 1° dicembre 1958), ex grande mezzofondista e primo atleta nella storia dei 10.000 metri a vincere tra l’82 e l’84 la medaglia d’oro agli Europei, ai campionati del mondo e ai Giochi olimpici, vive a Mortara, in provincia di Pavia. Con lui Laura, sua compagna nella vita di ogni giorno. A Giussano, nel Milanese, abitano le sue due figlie di 34 e 30 anni. Una casa di cura di Arosio ospita invece suo padre Pietro, 96 anni compiuti poco più di una settimana fa.
Il suo legame con il Lario è ancora forte. Non soltanto per le origini, ma anche perché Cova è stato tra i primi e più convinti testimonial di Casa don Guanella e del progetto ideato e portato avanti a Valmadrera dalla comunità educativa di Lecco e in prima persona da don Agostino Frasson e sfociato nella realizzazione di quel grande sogno chiamato “Cascina don Guanella”, splendido esempio di agricoltura sociale.
Alberto vive a Mortara, si è detto. E dentro casa ci sono anche Ethan e Claire, due bellissimi cani di razza Weimaraner. Ma la vita di ogni giorno di Cova, come quella di tutti, è cambiata da quando è iniziata l’emergenza coronavirus. “Già - ammette l’ex campione - da ormai quasi due mesi è cambiato tutto e questa pandemia ha letteralmente stravolto la mia vita. E mi ha costretto a cancellare tutti gli impegni professionali programmati tra febbraio e fine maggio. E dopo quella data chissà come si potrà ripartire…”.
Il mondo di Alberto Cova è oggi quello della formazione aziendale, che lo porta a mettere a disposizione delle aziende e dei loro manager il know how sui temi comportamentali e della motivazione e a diffondere progetti innovativi di team building sempre nel settore della formazione manageriale.
“Per molti questa emergenza significa smart working e videoconferenze - dice l’ex atleta - ma per me è tutto diverso. Io faccio per così dire attività di movimento, che in quanto tale deve essere vissuta sul posto e non online. Il contatto con le persone, dunque, nel mio caso è determinante, così ora sto pensando a cosa fare per giugno e a come potrò tornare ad aggregare le persone”.
“Intanto resto a casa come tutti - aggiunge - e con Ethan e Claire ogni giorno nel tardo pomeriggio mi concedo una breve passeggiata nelle immediate vicinanze”.
Inevitabile, parlando con un grande atleta di un passato tra l’altro non così lontano, un riferimento alle Olimpiadi di Tokyo e alla decisione di rinviarle al 2021. “Una scelta obbligata - non esita a dire Cova - alla luce della situazione che si è venuta a creare praticamente a livello mondiale. Immaginare 12.000 o 13.000 persone in un villaggio olimpico sarebbe stato impensabile e anche l’ipotesi di un rinvio dei Giochi non all’anno prossimo ma all’autunno di quest’anno, pur se in un primo tempo auspicabile, sarebbe stata in effetti improponibile”.
“Il rinvio di un anno esatto e appunto non soltanto di pochi mesi - osserva al riguardo sempre Cova - rende tra l’altro meno problematica la gestione della preparazione del singolo atleta, che ha in definitiva il tempo necessario per riprogrammarsi. Diverso è il discorso per chi, per ragioni anagrafiche, guardava ai Giochi del 2020 come ultimo traguardo della propria carriera sportiva, immaginando scelte di vita diverse a partire dall’anno prossimo, ma questo virus purtroppo non guarda in faccia a nessuno”.
Chi continua a pensare di poter presto ripartire, magari già a fine maggio, e concludere la stagione è invece il calcio, pur se dopo avere adottato i necessari provvedimenti a tutela dell’incolumità dei calciatori. “Se è vero che il calcio ha meno problematiche legate alla programmazione dell’attività rispetto ad altri sport - dice al riguardo Cova - è altrettanto innegabile che il fatto di doversi allenare insieme, di muovere le squadre e i relativi staff tecnici e poi di scendere in campo undici contro undici rappresenti in questa fase un ostacolo tutt’altro che indifferente”.
“Mi viene insomma da dire - conclude l’ex mezzofondista - che di fronte a una situazione come quella che stiamo vivendo anche il calcio dovrebbe mettersi il cuore in pace e restare fermo”. Parola di Alberto Cova, parola di un grande campione.
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