Nato a Cartenaso di Bologna nel 1925, Sergio Vacchi, senza seguire studi regolari si accosta inizialmente ad una pittura influenzata dal post cubismo e da Picasso. Dopo un breve periodo in cui tenta di recuperare, come lui stesso afferma, la lezione di Cézanne, dipingendo boschi, paesaggi e scene di vita emiliana, alla fine degli anni Cinquanta si avvicina, per qualche anno, all'informale. La svolta stilistica si compie nel 1959 quando si trasferisce a Roma, dove la sua pittura, benché ancora informale si va sempre di più accostando a quella figuratività che è propria del suo operare. I suoi maestri diventano i grandi artisti europei come Marx Ernst, Otto Dix, Bacon, De Chirico, e la sua pittura risente fortemente dell'espressionismo nato nel vecchio continente ma caratterizzata da una capacità compositiva e descrittiva originalissima, e da una pittura di grande e grandissimo formato, secondo una personale e suggestiva concezione del mondo che lo circondava.
Per Siena, dove si era trasferito negli ultimi decenni della sua vita, il curatore Marco Meneguzzo ha pensato a costruire negli spazi del Santa Maria della Scala, una sorta di “galleria” fitta di tele grandissime, quasi che l’artista avesse dipinto i muri e le volte del palazzo alla maniera degli antichi maestri, cui evidentemente si rifaceva. Per Meneguzzo infatti: Vacchi ha sempre dipinto su grandi superfici, sin dai suoi esordi ha avuto bisogno di grandi superfici, e questa tendenza si è finalmente espressa appieno col ciclo de Il pianeta, dei primi anni Settanta, quando ha utilizzato molto spesso dimensioni fuori dal comune anche per un pittore contemporaneo. Perché questa necessità, accentuatasi nel corso del tempo? Perché i quadri di Vacchi si guardano, ma soprattutto si leggono. Lo sguardo fa fatica ad abbracciare la grandezza orizzontale di certe tele e quindi le scorre, da sinistra a destra, e anche nelle grandi campiture quadrate l’occhio percorre la tela alla ricerca di una storia. Narrazioni e storie raccontate nei grandi cicli pittorici come il Concilio, Federico II, Galileo, Perché il pianeta, Leonardo, Proust, Greta Garbo.
Le trentacinque opere in mostra, tra le più significative della sua produzione – alcune delle quali inedite – conducono lo spettatore all’interno di un mondo visionario, ma allo stesso tempo profetico, sul destino dell’essere umano. La sua ricerca ha spaziato soprattutto nel campo della profezia sulle sorti future dell’umanità in rapporto al pianeta: visioni cupe e desolate, ma non prive di ironia, mescolate a una simbologia contemporanea tutta da interpretare.
La mostra senese celebra quindi la pittura di Sergio Vacchi (1925 -2016), uno dei più indipendenti e originali pittori del secondo dopoguerra e famosissimo negli anni Cinquanta e Sessanta.
"Quando ho visto in maniera compiuta le opere di Sergio Vacchi, mi ha colpito l'immanenza delle stesse e tutto quello che sapevo di lui è stato superato da una contemporaneità che va oltre un'idea profetica - ha detto il sindaco Luigi De Mossi - Infatti la profezia è sempre di là dal venire, mentre la pittura di Vacchi ha un'accelerazione, un'urgenza che supera le terre ed i castelli vinti e perduti ad un tempo, ma che parla con lampi diretti e traccianti all'uomo del momento. Nessuno si sottrae all'ipnosi delle opere di Vacchi, nessuno attende una risposta, ma un segno, un linguaggio, un monito che dal basso si irradia nella mente e nel cuore di chi osserva, non da spettatore, ma da protagonista dialogante con l'autore".
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