l presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, a Erba: “La politica deve trasformare le speranze in certezze. E nella decrescita c’è soltanto tristezza”
di Claudio Bottagisi
“Qui mi sento a casa e avverto il calore dei miei colleghi e il comune sentire”. Vincenzo Boccia, dal 2016 presidente di Confindustria, chiude con il suo intervento l’assemblea generale di Confindustria Lecco e Sondrio e Unindustria Como. Ad ascoltarlo a Erba, in un gremito padiglione di Lariofiere, centinaia di imprenditori delle tre province, pubblici amministratori, autorità militari, rappresentanti delle organizzazioni di categoria, esponenti politici e un nutrito gruppo di studenti.
Parla del cambiamento, Boccia, “che - dice - può essere migliore ma anche peggiore”. E analizza, non senza preoccupazione, la situazione economica e politica del Paese vista dall’osservatorio della classe imprenditoriale. “Vediamo lo spread che aumenta - afferma - e le reazioni di nazioni importanti a partire dagli Stati Uniti”. Parla del lavoro, in particolare di quello giovanile, “che deve essere messo al centro di una società che si dice aperta, tra l’altro in un grande Paese industriale qual è il nostro”. “Se siamo i secondi in Europa - osserva - ci sarà pure un perché”.
E la politica? “Deve riappropriarsi del suo primato - spiega Boccia - e non cavalcare la rabbia e il rancore. Deve trasformare le speranze in certezze, perché la povertà e le disuguaglianze vanno contrastate con la crescita. Al contrario, nella decrescita c’è soltanto tristezza”.
Poi l’Europa. “Deve ritrovare prosperità - afferma il numero uno di Confindustria - e ripartire dal lavoro mettendo al centro la questione industriale e appunto la crescita come presupposto della stabilità”.
Infine i giovani. Si rivolge direttamente a loro, il presidente. E li invita ad amare il loro Paese e ad appassionarsi per il lavoro, valore che nessuno dovrà scippare loro. “Oggi del resto - dice agli studenti in platea - qui avete visto l’Italia che vuole reagire e che vuole guardare al futuro”.
L’intervento di Vincenzo Boccia era stato preceduto da una tavola rotonda incentrata sull’elogio del capitale umano nella quarta rivoluzione industriale, mentre ad aprire i lavori dell’assemblea - significativamente introdotti dall’inno di Mameli e dall’Inno alla gioia per simbolizzare lo stretto legame della classe imprenditoriale con il Paese Italia e con l’Europa - erano stati Lorenzo Riva e Fabio Porro.
Non erano andati troppo per il sottile, i presidenti di Confindustria Lecco e Sondrio e di Unindustria Como. “Al nostro Paese manca il futuro - era stata infatti la loro premessa - Nessuno più ne parla ed è una continua drammatica emergenza. E le emergenze sono spesso il risultato di una totale assenza di progettualità o, peggio, di visione. E’ indispensabile allora cambiare completamente atteggiamento, individuare gli obiettivi e realizzarli”.
Manca una politica industriale adeguata, l’imposizione fiscale è tra le più elevate e i costi del lavoro e dell’energia sono eccessivi. Eppure l’Italia è la seconda manifattura d’Europa e il settimo Paese nella graduatoria dei più industrializzati al mondo.
“Se si continuano a ignorare le ragioni dell’impresa - aveva detto Porro - e a considerarla quasi con fastidio il rischio di arretrare nelle classifiche e di tornare a una recessione che da congiunturale si trasformi in strutturale è sempre in agguato. Soltanto con una grande e seria alleanza si possono raggiungere gli obiettivi di crescita e benessere a vantaggio di tutti”.
Già, proprio l’assemblea di giovedì 15 novembre inaugura di fatto una stagione di sinergie strategiche e operative tra le associazioni imprenditoriali. “Abbiamo l’ambizione di poter essere un esempio di collaborazione che potrebbe e dovrebbe nascere tra vari altri enti - aveva specificato Riva - e allora mi spingo a immaginare da un lato un grande polo per l’università e la ricerca e dall’altro un polo incubatore e contemporaneamente facilitatore del trasferimento tecnologico”.
Quindi i primi riferimenti al territorio lariano e valtellinese e alle sue risorse. “L’Adda e il Lario, dunque un fiume e un lago - aveva detto sempre il presidente di Confindustria Lecco e Sondrio - hanno rappresentato un supporto e un sostentamento vitale per l’impresa. Molte sono divenute celebri nel mondo e hanno saputo esportare il gusto, il design, l’affidabilità e la qualità grazie a un territorio capace di creare collaboratori adeguatamente formati in virtù di una cultura del saper fare che ha plasmato migliaia di lavoratori”.
Occorre però fare i conti con le infrastrutture. “Strade vecchie - aveva sottolineato Fabio Porro - lente e insicure, per le quali gli interventi recenti si contano sulle dita di una mano, rappresentano quando va bene un costo economico e, quando va male, un costo in termini di vite umane”.
La questione è nota nel Lecchese come in Valtellina, che per decenni ha corso il fondato rischio di trasformarsi in una Valle chiusa. “Un pericolo che in realtà corre ancora - aveva ammesso Riva - nonostante sia stato ottenuto qualche miglioramento con la recente apertura della variante di Morbegno lungo la Statale 38”.
Quindi altri motivi di preoccupazione. “Ci spaventa il clima di avversione non soltanto verso le imprese ma anche al progresso - aveva evidenziato il presidente - Fermare le grandi opere significa tagliarci fuori da un mondo che invece continua a correre”. E ancora: “Le aziende investono in digitalizzazione, innovazione e produttività. Sono competitive ed è inammissibile che fuori dai cancelli si trovino calate in una realtà infrastrutturale che è rimasta alle esigenze di oltre cinquant’anni fa”.
Non erano mancate critiche anche severe al Governo. “L’elenco dei temi strategici su cui si è deciso di non investire è lungo - aveva ammonito Porro - e laddove ha voluto farlo i risultati non sono per nulla soddisfacenti. Pensiamo al lavoro. Non lo si crea con una legge ma lo si può distruggere con un decreto. Al contrario, il lavoro lo creano le imprese”.
Nel mirino degli imprenditori vi è il cosiddetto decreto dignità entrato in vigore di recente. Una norma che “già nel nome è del tutto fuorviante, perché come si può pensare che la dignità del lavoro dipenda dal grado di inamovibilità di chi lavora?”.
“La dignità - aveva affermato sempre il presidente di Unindustria Como - consiste invece nel riconoscere che la persona resta la risorsa più importante dell’impresa e che, a prescindere dal tasso di digitalizzazione o robotizzazione, essa sia e rimanga al centro di tutta l’organizzazione”.
Non era mancato neppure il riferimento al reddito di cittadinanza. “Anche su quello abbiamo molto da dire - aveva tenuto a precisare Lorenzo Riva - perché la proposta, così come si configura, è prima di tutto un terribile errore concettuale e culturale, che discende da una visione arrendevole. E’ la visione di chi sceglie la sussistenza invece dell’acquisizione di abilità nuove e più alte, della formazione continua, del merito”.
E poco più avanti nella relazione: “Non siamo estranei ai princìpi di solidarietà, ma sostenere che la soluzione alle difficoltà si trovi in un assegno mensile per non lavorare francamente ci sembra irrispettoso degli italiani, delle loro ambizioni, delle nostre competenze e del saper fare”.
Porro aveva altresì ribadito l’esigenza di trasmettere alle nuove generazioni l’idea che “le difficoltà ci consentono di crescere” e che “il cambiamento va accolto con entusiasmo perché rappresenta sempre un’opportunità”.
Infine da Lorenzo Riva un appello rivolto sempre ai giovani: “Usate la testa e usatela bene. Sviluppate un pensiero critico e autonomo, che non può formarsi soltanto attraverso i social. Leggete, viaggiate, costruire relazioni. Ribellatevi a chi vi chiede di rinunciare a raggiungere obiettivi alti. Guardate lontano con passione e con coraggio. E’ quello che accade ogni giorno nelle nostre imprese, è quello che serve per il futuro di tutti noi”.
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