Origini liernesi, ha trascorso un paio di mesi sul Lario e in questi giorni ha fatto ritorno alla sua missione
di Claudio Bottagisi
Sul finire del 2014 aveva scritto in una sua lettera: “Puchifa è una montagna che si trova nella provincia di Chiang Rai e sorge vicino al confine con il Laos. Siamo a 1.600 metri sul livello del mare. Per far funzionare una struttura che ospita 150 persone come il nostro Centro ci vuole gente disponibile e pronta a sacrificare il proprio “io” con pazienza e dedizione”.
Lui è padre Alberto Pensa, liernese, appartenente alla congregazione del Sacro Cuore di Gesù di Bétharram, da decenni missionario in Thailandia.
Nei sogni di padre Alberto vi era, da tempo, la realizzazione di una chiesa da dedicare a Sant’Ambrogio. E per raggiungere quello scopo anni fa il missionario aveva acquistato un appezzamento di terreno da utilizzare per costruirvi appunto una cappella quando se ne fosse presentata la necessità.
Nel 2013 il cantiere era stato aperto. Qualcuno aveva offerto le tegole per il tetto, altri i mattoni, qualche altro le piastrelle per il pavimento. Si era così potuta costruire una chiesa più grande rispetto all’idea originaria e il 31 agosto dell’anno successivo, appunto il 2014, l’edificio era stato benedetto, presenti le ragazze e i ragazzi dell’Holy family catholic centre.
Pochi giorni prima di Natale dello stesso anno era stata benedetta un’altra chiesa dedicata a Gesù misericordioso, con un pensiero rivolto alla cappella dell’Alpe di Lierna voluta e costruita dagli alpini, da sempre vicini a padre Alberto.
Nell’estate appena trascorsa padre Alberto Pensa è tornato nella “sua” Lierna e, dopo aver trascorso sul lago un paio di mesi, all’inizio di questa settimana ha fatto ritorno in Thailandia, non prima di essere stato festeggiato dalle penne nere in una serata - quella del secondo sabato di ottobre - che ha regalato a chi vi ha preso parte emozioni e suggestioni e che non ha mancato di proporre significative testimonianze, a partire naturalmente da quella dello stesso padre Alberto, e di evocare ricordi.
Si è già fatto cenno all’Holy family catholic centre. Ebbene, va detto che il Centro offre ospitalità (vitto e alloggio) ai bambini delle elementari che provengono dai villaggi montani. Lì funziona anche una scuola per adolescenti e le ragazze svolgono apprendistato di taglio e cucito. La stessa scuola porta le giovani a completare il percorso dell’istruzione secondaria.
A sostegno di quel Centro è operativa l’associazione “Amici Bétharram Onlus” che ha sede ad Albavilla, nel Comasco, e che promuove progetti per l’assistenza socio-sanitaria e di promozione umana alle popolazioni dei Paesi in cui operano appunto i missionari del Sacro Cuore di Gesù di Bétharram.
Negli ultimi decenni la società thailandese ha affrontato un processo di rapida trasformazione, con conseguente sfaldamento delle minoranze etniche. Gli Akha, gruppo etnico dell’Indocina settentrionale proveniente dalla Cina e dal Tibet, hanno vissuto da sempre isolati nelle loro foreste, ma negli ultimi decenni la situazione è cambiata anche a causa del collegamento di queste popolazioni con il mondo esterno attraverso la costruzione di nuove strade.
“Il miglior modo di aiutare i villaggi e la popolazione - spiega Giovanni Parolari degli “Amici di Bétharram”, che ben conosce la missione di padre Alberto essendoci stato quattro volte - consiste nel preparare le giovani generazioni a incontrarsi con la società in cui dovranno vivere, fornendo loro l’istruzione, perlomeno di base, e facilitando il loro inserimento nel mondo del lavoro”.
Padre Alberto, nato a Lierna nel febbraio 1940, fu ordinato sacerdote a Milano dal cardinale Giovanni Colombo il 12 giugno 1965.
Era un novello sacerdote e si trovava in Inghilterra a studiare la lingua inglese, destinato a fare il professore nel seminario di Albavilla o nelle scuole di Colico o a Bormio. “Invece passa a trovarmi padre Arialdo Urbani, mio compagno di classe e in seguito missionario in Centrafrica - ricorda il missionario in una sua testimonianza - mi parla della sua gente che stava venendo in Thailandia dalla Cina e dalla Birmania e di come sarebbe stato bello avere qualcuno per dargli una mano. E così il 1° dicembre 1972 mi sono ritrovato in Thailandia...”.
“Non sono mai stato uomo di potere - aggiunge padre Alberto - tanto che il Centro funziona benissimo anche senza di me. Però devo dire che se non ci fossi stato io quel Centro non sarebbe mai nato…”.
Una storia nata quasi per caso e proseguita per sentieri mai preordinati, seguendo a ogni bivio l’itinerario che la vita di volta in volta proponeva, sapendo tuttavia che quella era la via giusta.
Nel Paese del Sud-est asiatico i betharramiti erano presenti già da 21 anni, trasferiti dopo l’espulsione dalla Cina. Nella diocesi di Chiang Mai, al Nord, tutti i posti di missione erano betharramiti. I padri venivano in contatto con le numerose etnie insediate nel cosiddetto “triangolo d’oro” nel Nord della Thailandia: Hmong, Mien, Karen, Lisu, Lahu e Akha e il lavoro era in espansione.
“Quando sono arrivato io - sono sempre parole di padre Pensa - a Ban Pong vi erano soltanto una casa di legno in costruzione e un granaio. Il vescovo aveva assegnato una cifra per impiantare qualcosa di provvisorio perché non sapeva se io, giovane padre, mi sarei adattato. Invece lì ho trascorso oltre 40 anni…”.
E’ il periodo in cui - dal 1970 al 1985 - la migrazione assume dimensioni cospicue, interessando fra le 30 e le 60mila persone. Gli Akha fuggono dalla Cina in quanto minoranza etnica e anche perché il governo non consente più di piantare il papavero da oppio in cima alle loro montagne. Non si fermano però in Birmania, perché la dittatura militare li obbliga a fare lavori per conto dell’Esercito, e così raggiungono la Thailandia.
“All’inizio - ricorda il missionario liernese - io ho fatto l’agricoltore: piantavo frumento, allevavo maiali e conigli. Con me vi erano una ventina di persone ed eravamo autosufficienti. Avevo un trattore e anche i buddhisti thailandesi venivano a usarlo. Intorno c’erano soltanto due o tre villaggi, adesso sono centinaia”.
“Noi missionari betharramiti - così continua la testimonianza di padre Alberto - eravamo una ventina in tutto il Nord della Thailandia, ma ognuno viveva da solo. Il più vicino stava a 50 chilometri. Facevo presenza cristiana: visitavo i villaggi dei dintorni, andavo dalle famiglie che erano già cristiane, celebravo la messa, sceglievo un catechista per farli pregare la domenica e così, poco a poco, si allargava il cerchio. C’era il problema della lingua, che è molto difficile. Assomiglia al tedesco come costruzione e ancora oggi la uso per dire messa ma predico in thai, perché non sono riuscito a impararla”.
Il Centro dove opera padre Alberto è oggi una sorta di villaggio con costruzioni cresciute negli anni: una struttura principale per l’accoglienza, con i refettori e le sale di riunione e per il catechismo, una chiesa e una casa per i padri, la palazzina Ban Konthip su due piani inaugurata nel 1994, un’altra costruzione su tre piani conclusa nel 2003 per la scuola di cucito, le aule scolastiche e la biblioteca, alcune casette per gli ospiti fissi e temporanei, i servizi e una grande tettoia per lavare e stendere la biancheria.
Tutte le residenze hanno al piano inferiore i laboratori di taglio e cucito, le aule e le sale comuni, sopra invece i dormitori e le stanze.
Formazione e alfabetizzazione, dunque. Ma poiché l’istruzione teorica richiede un’applicazione pratica, è nato pure il laboratorio con adeguate attrezzature per la produzione di articoli artistici con tessuti ricamati a mano. Le ragazze imparano a fare vestiti, anche paramenti liturgici, borse e oggetti d’artigianato. Completata la formazione, trovano lavoro nelle sartorie della città, dove sono apprezzate per la loro abilità, e una ventina sono rimaste a lavorare a Ban Konthip.
Il lavoro di ricamo si è poi esteso alle famiglie: il Centro offre il materiale e riceve e commercializza il prodotto finito. Sono coinvolti anche gruppi di donne della pianura e le alunne dei paesi vicini.
Negli ultimi anni i betharramiti hanno contribuito a costruire varie chiese: nel 2008 a Panklang, nel 2009 a Pakia, nel 2011 a Balaa, poi a Huaynamrin e Suanpa. Altre se ne progettano a Phanaseri, Abòdo e Huay Rai, un villaggio di 250 famiglie.
Come già ricordato, padre Pensa ha coronato il sogno che una di queste - quella del villaggio di Banjong - fosse dedicata a sant’Ambrogio e costruita con gli aiuti dei liernesi.
“Dopo più di 40 anni di presenza in questa parte della Thailandia - osserva il missionario - mi era sembrato opportuno lasciare un segno, pensando alla mia chiesa, la chiesa di Sant’Ambrogio in Lierna, dove sono stato battezzato, cresimato, dove ho ricevuto per la prima volta l’Eucaristia e dove ho celebrato la mia prima messa”.
Insomma padre Alberto può guardare soddisfatto al lavoro di una vita: “L’Holy family centre e Ban Konthip sono un alveare in espansione. Il Centro non l’ho programmato, è nato secondo le esigenze e gli incontri del momento e ormai funziona per conto suo. Io aiuto come posso, soprattutto devo trovare un po’ di finanziamenti all’estero. Ma ce la farebbero anche da soli, perché la Provvidenza aggiungerebbe ciò che manca. Non abbiamo mai avuto grandi fondi, eppure il necessario non è mai mancato”.
Chi volesse sostenere i progetti di padre Alberto Pensa e il suo Centro può rivolgersi alla già ricordata associazione “Amici Bétharram Onlus” di Albavilla (031-626.555 il recapito telefonico, associazione.amici.betharram@gmail.com l’indirizzo e-mail).
Nella galleria fotografica, una serie di immagini di padre Alberto Pensa nella sua missione in Thailandia.
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