Investire nella sicurezza delle nostre infrastrutture non è più rinviabile. Per guardare al futuro con meno paure e meno insicurezze
di Claudio Redaelli
“Chissà se si riuscirà mai a trovare qualcuno che voglia raccontarcela giusta sulla Statale 36 Lecco-Colico, asse stradale di vitale importanza per i collegamenti tra l’area metropolitana milanese e la Valtellina. Tra mezze verità, mezze bugie e tante omissioni siamo in una situazione paradossale, a oltre cinquant’anni dall’apertura dei primi cantieri… E’ anche capitato in tempi piuttosto recenti di dover fare a meno di questa strada vitale per l’economia (e non solo) di ampie porzioni del territorio regionale quali sono la già citata Valtellina, la Valchiavenna e tutto l’Alto Lario, sia comasco sia lecchese”.
Era il marzo 2014 e così iniziava il servizio di apertura - a firma del sottoscritto - di quel numero del mensile della Lombardia Il Punto Stampa dal titolo emblematico: “Mezze verità. E mezze bugie!”.
La Statale 36 ha iniziato quello che potremmo chiamare il suo iter nel 1961, per essere aperta al transito nel gennaio 1985 in occasione dei campionati del mondo di sci alpino disputatisi a Bormio e a Santa Caterina Valfurva.
Sono dunque trascorsi ben più di 50 anni dall’avvio dei lavori di costruzione e nel corso dei decenni non sono mancati seri e gravi problemi per questa arteria stradale. Basti pensare a quanto accaduto anni fa nel tratto di Statale sottostante la montagna di Dorio.
Non a caso, sempre nel servizio datato marzo 2014 veniva ricordato come dopo che nel 2013 si era lavorato dentro la galleria Monte Piazzo ci si era ritrovati con l’ennesima soluzione provvisoria. “Che non è soltanto il problema del volume insostenibile di traffico - scrivevo in quella circostanza - che si riversa sulla Provinciale 72 a lago, con tutti i disagi che ne conseguono sia per chi quella strada la deve forzatamente percorrere per ragioni di lavoro e non ha alternative sia per chi abita lungo la stessa strada e trova addirittura impossibile uscire dalla propria casa”.
E aggiungevo: “Il problema vero, inutile nasconderselo nonostante tra mezze bugie, mezze verità e omissioni in molti stiano cercando di farlo, è che la galleria Monte Piazzo è scavata dentro una montagna che si muove. E si muove inesorabilmente, mettendo a rischio non solo il tracciato della Statale ma anche quello della strada provinciale e della linea ferroviaria”.
Già, la linea ferroviaria. Basta dare un’occhiata al tratto compreso tra Lecco e la Torraccia, verso Abbadia Lariana, per guardare con giustificata apprensione a quel binario che corre a ridosso della montagna, a stretto contatto - verrebbe da dire - con la vegetazione! Per carità, non è nostra intenzione né fare allarmismo né lanciare sterili proclami, ma a nostro avviso sia sulla Statale 36 sia sulla linea ferroviaria sarebbe indispensabile intervenire quantomeno per controllare se il materiale a suo tempo utilizzato in fase di costruzione sia ancora in perfetta efficienza e tale da garantire assoluta sicurezza a chi vi transita magari quotidianamente o appunto a chi, comprensibilmente sempre per ragioni di lavoro, si trova ogni giorno a percorrere in treno la Lecco-Sondrio-Tirano.
Tornando alla Statale 36, sempre nel 2014 chi scrive ricordava che “i nostri avi su quella montagna non hanno mai costruito neppure una baita”. “Lo sapevano - aggiungevo - quanti effettuarono gli studi di fattibilità che, cinquant’anni fa, precedettero l’apertura dei cantieri della nuova superstrada Lecco-Colico e consigliarono un altro tracciato. Ce ne siamo accorti noi, in tutti questi anni, non riuscendo più a contare le volte in cui la galleria Monte Piazzo, una volta la canna sud un’altra volta la canna nord, è stata chiusa”.
Quindi una considerazione che ci piace riproporre oggi: “Se è giusto e in qualche modo obbligatorio affrontare le emergenze man mano che si verificano, sarà anche il caso di mettere mano a un’alternativa che risolva, almeno per il tempo di una generazione, il problema. Sarà il caso di attuare quella rete di collegamenti intervallivi che metta la Valtellina in collegamento rapido con le valli bergamasche e con le valli bresciane, realizzando contestualmente un collegamento trasversale tra le rive del Lario e quelle del Garda nella zona prealpina”.
Già, perché la gente chiedeva allora e continua a chiedere oggi soltanto di continuare a lavorare e di poterlo fare in sicurezza e in condizioni quanto meno dignitose.
Dopo quanto accaduto la vigilia di Ferragosto a Genova, con il crollo del ponte Morandi che ha causato come noto decine di vittime, investire nella sicurezza delle nostre infrastrutture non è più rinviabile. Per guardare al futuro con meno paure e meno insicurezze.
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