Enrico Magni
L’individuo nella società dell’immediatezza e solipsistica è cresciuto pensando di scrivere la storia universale solo con chi considera identici; quando accade qualcosa d’irreparabile, come un evento catastrofico, questa convinzione psicologica di essere il centro di sé e degli Altri, cade in un profondo smarrimento.
La società solipsistica dell’immediato narra in modo egoico la storia del presente contemporaneo facendo illudere che ogni individualità sia il centro. L’illusione scema nel momento in cui accade un evento catastrofico; l’individuo e il sistema sociale implodono, si spaventano e rischiano di paralizzarsi di fronte al futuro: è l’espressione dell’angoscia della perdita della certezza.
Nella società dell’iperconnessione c’è la necessità psicologica di rigettare tutto quello che evoca ansia, angoscia. Lo strumento dello smarphon, i social network permettono di canalizzare nell’immediato gli stati emozionali senza essere vagliati e valutati.
Nella iperconnessione c’è la convinzione illusoria che l’immediato è riparabile e aggiustabile nell’immediatezza, nell’adesso e subito attraverso un twitter, un messaggio su un qualsiasi social. L’immediatezza diminuisce la funzione dell’introiezione dell’accadimento; l’accadimento è vissuto per quel momento: più è forte l’emozione che solleva, più è consistente il bisogno di appartenere a quell’impulso virtuale.
L’oggetto tecnologico trasmette il proprio stato emotivo carico di frustrazione, rabbia, impotenza, insofferenza esistenziale nei confronti di un soggetto indefinibile, invisibile, non presente fisicamente sul quale rovesciare tutta l’energia psichica compressa.
Lo strumento è un grosso megafono o amplificatore impazzito che grida lo stato di disagio e di malessere individuale e sociale. La percezione che l’individuo prova sulla sua pelle, dopo aver gridato, è quella di non essere ascoltato, sentito, allora scatta un processo mentale rinforzante di gridare sempre di più che incoraggia l’automatismo di premere i tasti dello smart. L’individuo, inviando messaggi di ogni tipo cerca di esorcizzare una reazione regressiva e si sforza di rimuovere la sua ansia esistenziale.
Il senso di smarrimento, d’incapacità nel contenere le ansie prodotte dall’evento catastrofico, è raffigurato dal suono afono e afasico prodotto dall’urlo disperato; il suono afasico produce soltanto un lamento che è inascoltato; chi dovrebbe accoglierlo è confuso e riproduce un contro urlo che altera e deforma quello che sta accadendo.
La catastrofe porta indietro l’orologio del tempo, lo riporta dentro la dimensione della realtà che ordina le cose materiali, concrete fatte di fisicità, di corpi che non sono prodotti dalla dimensione illusionale e surreale: l’immediato virtuale si sbriciola con la dimensione materiale.
I corpi obbligano a riprendere contatto con la dimensione della quotidianità composta di gesti, parole, fatiche, affetti, relazioni e socialità. La perdita di un corpo coinvolge la dimensione del contatto fisico della carezza, della strattonata. La catastrofe richiama il dolore dell’assenza del corpo amico, del caro, dell’essere umano, sociale e della comunità.
C’è la necessità che qualcuno svolga una funzione contenitiva e interpretativa della catastrofe. E’ fondamentale che chi governa sia in grado di farsi carico del dramma e del dolore prodotto dalle macerie, altrimenti c’è il rischio di scivolare in un circuito dentro il quale i fantasmi, che stanno pressando il vaso di Pandora, fuoriescano e scompongano l’esistente.
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